mercoledì 17 marzo 2010

Una vera riforma elettorale

Si può tranquillamente affermare che l’attuale classe politica ha lo stesso indice di gradimento di quella che ha popolato «tangentopoli» negli anni tra il ’92 ed il ’94. Lo si può affermare con la sicurezza di chi parla con la gente comune, quella che lavora e protesta a bassa voce, che tiene in piedi il Paese, che subisce le angherie dei cosiddetti potenti perché non ha santi in paradiso. Si tratta di gente invisibile, ma questo popolo esiste. E critica indistintamente tutta la classe politica, di destra, centro e sinistra. Le ragioni che hanno portato a questo stato di cose sono diverse. Molte delle quali note. Ma vorrei ragionare attorno ad una questione differente seppur intimamente collegata a quella appena menzionata.

Il problema che mi preme affrontare è quello determinato dal rapporto di forza tra l’elettore e l’eletto. La classe (casta?) degli eletti nel nostro Paese è in una posizione di forza aberrante sul piano democratico. Oggi, infatti, una grossa fetta di elettori vota non per convinzione, ma per paura che vincano... gli altri. Se la posizione del cittadino fosse di critica nei confronti di una parte politica l’ovvio consiglio sarebbe di partecipare e favorire la parte avversa. Ma, in questo momento, il problema è completamente diverso. È l’intera classe politica che gode della sfiducia della gente. Ora è evidente che occorre trovare un sistema per portare all’eliminazione, non fisica ovviamente, di quell'establishment che nella sua interezza gode della sfiducia della maggioranza del popolo. Altrimenti le difficoltà che attraversa il Paese sono destinate ad acuirsi. Allo stato ciò sarebbe possibile solo con l’uso della forza.

Questo strumento, assai efficace, sembra profondamente in contrasto con un sistema democratico che deve, in ogni caso, passare attraverso la decisione popolare. È vero che anche l’insurrezione di un popolo è elemento democratico, ma ha un senso solo laddove non vi sia una democrazia. In un sistema democratico la soluzione, e cioè l’eliminazione di una classe politica invisa, deve comunque avvenire con un metodo fondato sulla volontà non violenta dei cittadini.

Purtroppo alla domanda se il nostro sistema consenta l’eliminazione democratica della intera classe politica, dobbiamo rispondere negativamente. Così, assai sinteticamente, per ora, si potrebbe proporre una soluzione che tenda comunque ad un ricambio profondo delle elite di governo. A qualsiasi livello, locale come nazionale. In tal senso si può prospettare una soluzione normativa di doppio grado, una con una legge ordinaria, l’altra con modifica della norma costituzionale. Certamente non si vuole entrare nel merito della legge elettorale e del sistema che verrà prescelto.

Qualsiasi sia la legge elettorale si deve, per rispetto dell’elettore, fornirgli uno strumento democratico che gli consenta di sostituire tutti i suoi rappresentanti. Né gli si può Si può tranquillamente affermare che l’attuale classe politica ha lo stesso indice di gradimento di quella che ha popolato «tangentopoli» negli anni tra il ’92 ed il ’94. Lo si può affermare con la sicurezza di chi parla con la gente comune, quella che lavora e protesta a bassa voce, che tiene in piedi il Paese, che subisce le angherie dei cosiddetti potenti perché non ha santi in paradiso. Si tratta di gente invisibile, ma questo popolo esiste. E critica indistintamente tutta la classe politica, di destra, centro e sinistra. Le ragioni che hanno portato a questo stato di cose sono diverse. Molte delle quali note. Ma vorrei ragionare attorno ad una questione differente seppur intimamente collegata a quella appena menzionata.

Il problema che mi preme affrontare è quello determinato dal rapporto di forza tra l’elettore e l’eletto. La classe (casta?) degli eletti nel nostro Paese è in una posizione di forza aberrante sul piano democratico. Oggi, infatti, una grossa fetta di elettori vota non per convinzione, ma per paura che vincano... gli altri. Se la posizione del cittadino fosse di critica nei confronti di una parte politica l’ovvio consiglio sarebbe di partecipare e favorire la parte avversa. Ma, in questo momento, il problema è completamente diverso. È l’intera classe politica che gode della sfiducia della gente. Ora è evidente che occorre trovare un sistema per portare all’eliminazione, non fisica ovviamente, di quell'establishment che nella sua interezza gode della sfiducia della maggioranza del popolo. Altrimenti le difficoltà che attraversa il Paese sono destinate ad acuirsi. Allo stato ciò sarebbe possibile solo con l’uso della forza.

Questo strumento, assai efficace, sembra profondamente in contrasto con un sistema democratico che deve, in ogni caso, passare attraverso la decisione popolare. È vero che anche l’insurrezione di un popolo è elemento democratico, ma ha un senso solo laddove non vi sia una democrazia. In un sistema democratico la soluzione, e cioè l’eliminazione di una classe politica invisa, deve comunque avvenire con un metodo fondato sulla volontà non violenta dei cittadini.

Purtroppo alla domanda se il nostro sistema consenta l’eliminazione democratica della intera classe politica, dobbiamo rispondere negativamente. Così, assai sinteticamente, per ora, si potrebbe proporre una soluzione che tenda comunque ad un ricambio profondo delle elite di governo. A qualsiasi livello, locale come nazionale. In tal senso si può prospettare una soluzione normativa di doppio grado, una con una legge ordinaria, l’altra con modifica della norma costituzionale. Certamente non si vuole entrare nel merito della legge elettorale e del sistema che verrà prescelto.

Qualsiasi sia la legge elettorale si deve, per rispetto dell’elettore, fornirgli uno strumento democratico che gli consenta di sostituire tutti i suoi rappresentanti. Né gli si può furbescamente chiedere di entrare nello scontro politico perché tale affermazione sarebbe l’espressione massima dell’imbroglio concettuale. Non si può confondere i due ruoli, elettore ed eletto, e non si può imporre una scelta «binaria» a chi vuole esercitare la sua funzione politica solo nel ruolo di elettore. Indipendentemente dal tipo di elezione, nazionale, regionale, provinciale comunale o circoscrizionale che sia, la norma che potremmo definire «ghigliottina» deve calare su qualsivoglia manifestazione pubblica espressiva della volontà popolare al di là della sua dimensione. Ma come si dovrebbe intervenire nel dettaglio? Fissando due semplici princìpi con legge ordinaria. Primo, soltanto il raggiungimento della soglia del 50% degli aventi diritto al voto rende valide le elezioni qualsiasi esse siano. Secondo, in caso di elezioni invalide entro 90 giorni si procede a nuove elezioni e così via fino a che le elezioni non abbiano raggiunto il quorum del 50% degli aventi diritto al voto.

Ovvio appare che sino a quel momento restino in carica coloro che erano stati precedentemente eletti. Si potrebbe obiettare che in tal modo potremmo trovarci a votare più volte le stesse persone e, che potremmo dare il via ad una processione senza fine tra gli stessi con conseguenze anche sul sistema democratico. Ebbene la cosa risulta evidente, ed infatti non a caso ho parlato anche di una piccola riforma costituzionale da inserire proprio in questo contesto. Tale riforma prevederebbe infatti che chiunque avesse partecipato ad una tornata elettorale conclusasi con la sfiducia rappresentata dal mancato raggiungimento della quota 50% degli aventi diritto, non possa più, e sottolineo mai più, partecipare ad altre tornate elettorali di qualsiasi tipo.

Chi è stato sfiduciato non può, ed è il minimo della serietà, più ripresentarsi. Non saremmo, infatti, di fronte ad una sfiducia determinata da una sconfitta che rappresenta l’altra faccia della vittoria dell’avversario, e quindi sarebbe, comunque, una fiducia sulla classe politica nella sua interezza, ma saremmo, nel caso prospettato, nell’ambito di una sfiducia collettiva, generale le cui conseguenze non potrebbero che, democraticamente, essere l’allontanamento definitivo dalla guida, a qualsiasi livello, dalla “res publica”.

Certo, per chi della vita politica ha fatto una professione, oppure per chi comunque affronta la vita politica come mezzo per favorire le proprie fortune, tale proposta apparirà come una bestemmia da combattere. Dirà che negli Stati Uniti votano anche meno della metà degli aventi diritto al voto. Ebbene chi la pensa così prenda la nave o l’aereo e vada a vivere negli Stati Uniti. Prima di partire gli insegneremo anche, perché la tradizione americana sia fondata sulla cosiddetta delega da ormai duecento anni. Se vogliono risparmiarsi qualunque appellativo virulento evitino di fare obiezioni cretine.

Concludo, per ora, rilevando che con la proposta appena illustrata si darebbe la possibilità a quei cittadini, che votano solo perché non vincano gli altri, di rendere più produttivo il loro voto. Aggiungo inoltre che comunque un popolo al quale sia data la democratica possibilità di cambiare tutta la sua classe dirigente e non lo fa, è un popolo che non ha il diritto di esprimere alcuna lamentela. Né gli si può furbescamente chiedere di entrare nello scontro politico perché tale affermazione sarebbe l’espressione massima dell’imbroglio concettuale. Non si può confondere i due ruoli, elettore ed eletto, e non si può imporre una scelta «binaria» a chi vuole esercitare la sua funzione politica solo nel ruolo di elettore. Indipendentemente dal tipo di elezione, nazionale, regionale, provinciale comunale o circoscrizionale che sia, la norma che potremmo definire «ghigliottina» deve calare su qualsivoglia manifestazione pubblica espressiva della volontà popolare al di là della sua dimensione. Ma come si dovrebbe intervenire nel dettaglio? Fissando due semplici princìpi con legge ordinaria. Primo, soltanto il raggiungimento della soglia del 50% degli aventi diritto al voto rende valide le elezioni qualsiasi esse siano. Secondo, in caso di elezioni invalide entro 90 giorni si procede a nuove elezioni e così via fino a che le elezioni non abbiano raggiunto il quorum del 50% degli aventi diritto al voto.

Ovvio appare che sino a quel momento restino in carica coloro che erano stati precedentemente eletti. Si potrebbe obiettare che in tal modo potremmo trovarci a votare più volte le stesse persone e, che potremmo dare il via ad una processione senza fine tra gli stessi con conseguenze anche sul sistema democratico. Ebbene la cosa risulta evidente, ed infatti non a caso ho parlato anche di una piccola riforma costituzionale da inserire proprio in questo contesto. Tale riforma prevederebbe infatti che chiunque avesse partecipato ad una tornata elettorale conclusasi con la sfiducia rappresentata dal mancato raggiungimento della quota 50% degli aventi diritto, non possa più, e sottolineo mai più, partecipare ad altre tornate elettorali di qualsiasi tipo.

Chi è stato sfiduciato non può, ed è il minimo della serietà, più ripresentarsi. Non saremmo, infatti, di fronte ad una sfiducia determinata da una sconfitta che rappresenta l’altra faccia della vittoria dell’avversario, e quindi sarebbe, comunque, una fiducia sulla classe politica nella sua interezza, ma saremmo, nel caso prospettato, nell’ambito di una sfiducia collettiva, generale le cui conseguenze non potrebbero che, democraticamente, essere l’allontanamento definitivo dalla guida, a qualsiasi livello, dalla “res publica”.

Certo, per chi della vita politica ha fatto una professione, oppure per chi comunque affronta la vita politica come mezzo per favorire le proprie fortune, tale proposta apparirà come una bestemmia da combattere. Dirà che negli Stati Uniti votano anche meno della metà degli aventi diritto al voto. Ebbene chi la pensa così prenda la nave o l’aereo e vada a vivere negli Stati Uniti. Prima di partire gli insegneremo anche, perché la tradizione americana sia fondata sulla cosiddetta delega da ormai duecento anni. Se vogliono risparmiarsi qualunque appellativo virulento evitino di fare obiezioni cretine.

Concludo, per ora, rilevando che con la proposta appena illustrata si darebbe la possibilità a quei cittadini, che votano solo perché non vincano gli altri, di rendere più produttivo il loro voto. Aggiungo inoltre che comunque un popolo al quale sia data la democratica possibilità di cambiare tutta la sua classe dirigente e non lo fa, è un popolo che non ha il diritto di esprimere alcuna lamentela.

Renato Ellero
www.lasberla.net del 17 marzo 2010
link originario

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