venerdì 25 febbraio 2011

La "moderorrea" italiana

Si autoproclamano moderati con tale ossessività, i moderati di destra centro e sinistra, che a furia di ripeterlo sembrano tutto fuorchè moderati. Moderati qua, moderati là: è stato il ventennio del moderatismo sbandierato come categoria dello spirito, condizione antropologica, appartenenza razziale. Chi è moderato è ipso facto una persona perbene e porta con sé i caratteri degli “italiani brava gente”: laboriosità, ragionevolezza, pacatezza, generosità, umanità. Chi non lo è, all’inverso, diventa estremista, oltranzista, rissoso, fazioso, ideologico e se insiste e persiste, persino terrorista. Di qua i buoni, misurati e colmi di buone intenzioni, di là i cattivi, litigiosi e perennemente sul piede di guerra.

Moderocrazia
Intendiamoci: è una caricatura che niente ha a che vedere con la realtà. Nel senso corrente del termine, moderatismo è quella sensibilità politica vagamente conservatrice ma che si pretende illuminata, propria dell’Italia profonda che invece è parecchio buia: superficialmente cattolica, aperta alla modernità anche la più sguaiata, filo-americana, appiattita sul pensiero unico industrial-capitalistico, rispettosa delle Istituzioni ma più ancora del proprio tornaconto, ha terrore delle idee troppo forti e ama quelle consolatorie e gladiatorie, legge poco e solo quello che rassicura e blandisce, è attaccata a tradizioni a cui non crede più, provincialotta, patriottica ai Mondiali e ai funerali dei caduti, paternalista, risparmiosa, sgobbona (spesso in nero) ma con una moralità piuttosto lasca, un senso civico molto personale e un’affettata propensione a farsi prima di tutto i fatti propri, privati e di consorteria, piuttosto che impegnarsi per il desueto bene comune. La moderocrazia all’italiana. Tirarsela da moderati, nello spirito del tempo impersonato da quegli imbonitori che devono vendersi come affidabili quando invece ti stanno rifilando la fregatura, è il modo escogitato da certa classe politica per coprire con il manto della rispettabilità, alla vecchia maniera, il proprio squallore etico e una disarmante pochezza ideale e umana.

Finti moderati
L’uomo che ha fatto di questa rappresentazione la propria immagine e bandiera è stato, manco a dirlo, il finto moderato per eccellenza, Silvio Berlusconi. Che moderato non lo è manco per niente, dal momento che chi lo dice sa di non esserlo, e lui ha dato tante e tali prove di essere il contrario, smodato, eccessivo, debordante, arrogante, megalomane, prevaricatore, spregiatore di leggi e buoni costumi, bugiardo inveterato e finto piagnone vittimista, che è di un’evidenza quasi comica la sua abissale estraneità a virtù come saggezza e misura. L’homo berlusconianus sputa sentenze e armeggia opinioni di parte con la bava alla bocca ma non ditegli che non è moderato: se vi va bene vi darà del comunista, se vi va male vi seppellirà di contumelie. Il berluscones è maestro di questa doppia veste che nasconde una doppia morale assunta a regola di vita e condotta politica. Si dichiara sincero democratico, ma dà di coglioni a tutti gli altri, cioè a quelli che non votano per lui, e non riconosce nessun legittimo impedimento alla proprietà volontà di potenza tanto da arrivare a sostenere che la legge è più uguale per lui perché votato dalla maggioranza1. E’ un assatanato giustizialista coi criminali comuni e coi poveracci, ma non appena si toccano gli interessi del padrone, della casta e dei colletti bianchi spara a zero contro la magistratura, insudiciata con le peggiori offese (cancro della democrazia, giudici mentalmente disturbati). Si erge al più liberale dei liberali ma non sopporta, non concepisce il dissenso e la critica, è un intollerante patologico: fa fuori dalla televisione di Stato chi non gli aggrada, fa bastonare con distruttive campagne di stampa chi osa contraddirlo (casi Boffo e Fini) e del conflitto d’interessi ne ha fatto e ne fa un vanto.

Il suo è il partito dell’amore, e poi scaraventa su chi gli si oppone una caterva d’odio da far impallidire un nazista. Ha il mito della famiglia da cartolina, è ossequioso con cardinali e preti, si presenta con le stimmate dell’uomo integerrimo e lavoratore, e contemporaneamente il suo mondo rigurgita di mignotte, prosseneti, ruffiani, mafiosi, corrotti, facce da galera2, pagliacci e pagliacciate (le corna nelle foto ufficiali, il “kapò” dato a un parlamentare europeo, la balla della minorenne favorita di Arcore “nipote di Mubarak”). I suoi giornalisti di riferimento sono Feltri, Sallusti e Belpietro, piazzisti della penna che pur di vendere venderebbero la madre, autori di gazzette di regime, prime pagine piene di insulti, editoriali zeppi di veline e pestaggi mediatici a comando (il fido Fede, poverino, è diventato una tale macchietta e la sua lascivia incensatoria talmente candida che gli vogliamo quasi bene). Il fustigatore della burocrazia è un tale Brunetta, ex socialista naturalmente craxiano, che dà con un livore cieco delle “merde” ai concittadini di sinistra. L’intellettuale per le masse è il telegenico e isterico Sgarbi, uomo di indubbia intelligenza ma di altrettanto indubbia violenza catodica. Il maitre-à-penser per le massaie, invece, è quel Signorini signore della volgarità, sovrano del pettegolezzo da donnette insoddisfatte, gossipparo di corte e ministro della propaganda patinata. Questa è la “casa dei moderati”: una gabbia di cialtroni e servi fanaticamente devoti alla Causa: la Sua, e la propria, in posti, denaro e carriere. Sbruffoni, questi finti moderati, che nulla hanno di moderato tranne che l’assoluta mancanza di senso del limite e del pudore.

Smoderati
La seconda categoria sono gli smoderati. Sono quei bellimbusti un po’ rozzi, che non rivendicano patenti di moderazione perché a loro non importa nulla di rastrellare consensi fra casalinghe disperate e borghesucci rancorosi. Il parco clienti cui si rivolgono, difatti, è composto di gente d’altra pasta, che non si ammanta di sentimentalismi e ipocrisie, ma anzi si compiace di dare addosso, di menar le mani, di far chiasso. Il loro popolo è fatto di radicali, di bollenti spiriti, di scontenti. Tuttavia, godono di un certo benessere economico, presi singolarmente sono delle gran brave persone, hanno un acuto, sebbene opinabile, concetto della libertà e della giustizia, e se la danno schiettamente, ostentatamente, lo siano o meno, da popolani. A destra, sono leghisti. A sinistra, dipietristi.

Entrambi gridano, s’indignano, rumoreggiano e s’inventano sempre nuovi colpi di teatro. Le loro dichiarazioni sono roboanti, i loro accenti sopra le righe, le loro posizioni portate alle estreme conseguenze. I primi sforano volentieri nella battutaccia e nel triviale, i secondi nei modi spicci da sbirro e nel leguleismo alla Perry Mason. I primi sono animati dai risentimenti delle partite Iva tartassate a sangue e dagli operai stufi marci della sinistra al caviale, i secondi dal sacro fuoco moraleggiante di chi non ne può più dell’amoralità vincente e cafona. A ben guardare, sono i meno peggio. Eppure anche costoro sono affetti da una buona dose di doppiezza inconscia: i fan del Carroccio, regolarmente accusati di razzismo, si mascherano da difensori dell’ordine e del decoro; i seguaci dell’ex pm di Mani Pulite si trincerano dietro la suprema Carta e le aule di tribunale. Tutt’e due, insomma, si dipingono come benpensanti ligi ad un populismo che pur avendo ottime ragioni cede troppo facilmente alla gazzarra, alla spacconata, alla sparata da bar.

Supermoderati
Non per niente, questi simpatici parolai si alleano con chi si alleano. La Lega coi moderati fascistoidi del decadente berlusconismo, l’Italia dei Valori con ciò che resta della sinistra. Ecco, la sinistra si divide in due etnie: la cosiddetta sinistra “moderata”, e la sinistra non-moderata, alias estrema o antagonista. Partiamo dalla prima. Altro non è che l’esangue, evanescente e castrato Partito Democratico. Ex comunisti togliattiani e miglioristi, più ex democristiani dossettiani e morotei, fusi alla bell’e meglio con qualche liberal-socialista ingenuo o paraculo e sparuti sopravvissuti dell’inesistente ambientalismo italiano. Una congrega che non avrebbe nulla a che spartire col moderatismo inteso nell’accezione comune, e che proprio per questo, per accreditarsi, per rendersi credibili a quel sentire comune, fanno di tutto per passare per tali. Riuscendoci benissimo, tra l’altro. Lo sforzo di essere la copia carbone appena un po’ più egualitarista e solidarista dei dirimpettai di destra è andato così a buon fine che ora, nel concreto delle scelte e nell’orizzonte dei programmi, sono indistinguibili dagli avversari.

Sono più realisti del re, più moderati dei moderati. Sono i Superman dell’eufemismo, sono i supermoderati: i Veltroni, i Bersani, i D’Alema, i Franceschini, i Renzi, i Fassino. Loro sì che ci danno dentro nel misurare le parole col bilancino, nel maniacale politically correct, nell’angosciarsi a non offendere nessuna sensibilità fosse pure quella degli animali estinti, nel vellicare ogni istinto buonista, mammone e filantropico, nell’aborrire ogni asprezza e durezza considerate con orrore da scolarette. Il loro motto, anche qui a rimorchio dell’altra parte, è “abbassare i toni”, clichè bipartisan tanto caro ai Presidenti della Repubblica e della Conferenza Episcopale Italiana, che serve a coprire le magagne più che a risolverle3.

Sono i polemisti al sonnifero, i pompieri del dibattito, i ragionieri dell’ideale. Sono tristi, smunti, seriosi, boriosi, implacabilmente e fastidiosamente pieni di sé nel loro buonsenso spacciato per senso critico. La vestale del loro (si fa per dire) pensiero è l’affarista Scalfari, illeggibile grafomane con turbe da filosofo. Il giornalismo dalle cui colonne apprendono il verbo quotidiano è quello, tutto moralismo e tartuferia, della Repubblica del pedantissimo Ezio Mauro. Il loro azionista di controllo l’imprenditore democratico, un ossimoro vivente, De Benedetti, che è solo un Berlusconi più furbo e più ammanicato nella finanza internazionale. Il conduttore di coscienze, il moderato, ultramoderato, moderatissimo Fazio con le sue viscide interviste sdraiate a zerbino. Il modello planetario a cui si sono entusiasmati (ma da cui ora non riescono a staccarsi per non riconoscere di essersi clamorosamente sbagliati), Obama il nero per caso: un imbroglio annunciato che solo i trinariciuti della sinistra MacDonald potevano scambiare per anima pia e salvatore del mondo.

Moderati puri e impuri
Agli antipodi, restano i due petali che il Pd sfoglia non sapendo decidersi su quale amare: al centro l’Udc di Casini, a sinistra Sel di Vendola. Il centro è considerato il luogo d’elezione dei moderati, proprio perché in mezzo (in medio stat virtus). In più il centrismo nazionale, come il "Zentrum" tedesco esempio di compostezza nel mondo, è di matrice cristiano-cattolica, e per soprammercato ha un tradizionale filo diretto col Vaticano, a due passi dai palazzi del potere temporale romano. Il titolo di moderati, perciò, sta nel dna degli ultimi eredi della Democrazia Cristiana, alla quale bisogna riconoscere la funzione storica di aver bilanciato al suo interno, in quel variegato universo interclassista che era, le contraddittorie tendenze della società italiana durante i suoi cinquant’anni di ininterrotto governo. Oggi il sapiente ruolo moderatore, degenerato in quel consociativismo e corruzione di sistema implosi con la fine della Prima Repubblica, si è tramutato nel furbesco presidio di uno zoccolo duro di voti legati alla Chiesa. E la Chiesa, avendo cura dell’eternità e dei privilegi di cui gode grazie al regime concordatario, è quanto di più fedele allo status quo ci sia al mondo. Gli ultimi democristiani duri e puri sono l’esempio perfetto del vero valore del moderatismo in politica: edulcorare il discorso, indorare la pillola, ammorbidire le parole, avvolgere lo scontro d’idee in una melassa curiale e sedativa. I dc erano maestri in questo, e i loro nipotini li imitano. Aggiungendovi di loro un pelo sullo stomaco necessario ai tempi che corrono: plaudendo senza batter ciglio all’avanspettacolo di Berlusconi e congiungendosi senza patemi d’animo coi brutti ceffi di Bossi, salvo poi staccarsene, da bravi moderati, accusandoli di eccessi e orrori che prima fingevano di non vedere. L’ipocrisia cattolica: questa santa, ributtante e umanissima scaltrezza che papi, cardinali e parroci hanno infuso alla storia d’Italia e grazie ad essa ai credenti dell’arco costituzionale.

All’opposto di questi veri, pestilenziali moderati, ci sono gli anti-moderati della sinistra sedicente radicale. Anti-moderati a parole. E sedicenti perché, slogan a parte, di radicale hanno poco: non mettono in discussione nessun “fondamentale” del nostro modello di sviluppo, baloccandosi da beoti con l’aggettivo “sostenibile”, né intendono superare l’assetto tecno-capitalistico, contentandosi di correggerlo in senso sociale come socialdemocratici qualsiasi. Per questo motivo sono speculari ai cattolici centristi: perché, al netto delle moraleggianti tirate contro le ineguaglianze e le ingiustizie, l’apporto alla conservazione dell’esistente è equivalente all’incenso dei falsi chierichetti alla Casini. Questi sono moderati di nome e di fatto; quelli, i vendoliani, sono massimalisti fuori e borghesi dentro. Pieni di prosopopea, di maiuscole, di retorica, di “sogni”, di “narrazioni”, di misticismo dei poveri e degli afflitti, contriti, ottusi, sotto sotto nostalgici della vecchia falce e martello, democratici ma solo con chi è di sinistra e altruisti senza rispettare l’Altro da sé (i “fasci”). Però guardandosi bene dal muovere una critica, una sola, che vada in profondità, che intacchi le basi di un modo di vivere livellato e de-spiritualizzato. Illudendosi di essere, come sempre, la punta avanzata del progresso perché si infervorano e scaricano la propria impotenza su battaglie di second’ordine, come il riconoscimento delle coppie gay, l’immigrazione senza limiti e, immancabile nei secoli dei secoli, l’antifascismo.

Porci
Alle somme. Il moderatismo è uno degli “ismi” più bufaleschi e buffoneschi in circolazione: scambia un dato caratteriologico, la moderazione, che attiene alla psicologia e al comportamento individuale e in quanto tale non è generalizzabile, con una rivendicazione d’identità politica che deve invece basarsi su idee e atti collettivi. Testimonia tutta la falsa coscienza di un ceto politico che non ha freni inibitori nello scannarsi e nell’azzuffarsi per depredare la cosa pubblica, e che per seguitare a farlo usa l’etichetta di moderato come uno scudo e un manganello. Come il lupo che si traveste da agnello. O come l’agnello che si maschera da lupo, facendo felice il lupo e continuando a farsi tosare e spolpare da vero agnello. Porci.

Alessio Mannino
da La Voce del Ribelle del 10 fennraio 2011
link di riferimento


Cenni e riferimenti
1. «Sì è vero la legge è uguale per tutti ma per me è più uguale che per gli altri perché mi ha votato la maggioranza degli italiani», La Repubblica, 17 giugno 2003
2. Come l’indimenticato Cesare Previti: «Se vinciamo, stavolta non faremo prigionieri», Il Messaggero, 15 aprile 1996
3. Josè Mourinho, ex allenatore dell’Inter, pur con tutti i suoi difetti una grande verità una volta l’ha detta. Parlava di quello schifo che è diventato il calcio italiano, ma trasponendo il discorso alla politica il senso rimane intatto: «Io dovrei abbassare i toni? Abbassiamo i toni. Però, vi ricordo che è proprio abbassando i toni che c'è stata e si è sviluppata Calciopoli. Uno scandalo terribile, una vergogna. Ricordo che lavoravo in Portogallo, ma sapere che accadessero cose del genere nel mondo in cui lavoravo mi faceva mettere vergogna, avevo vergogna di dare da mangiare alla mia famiglia con un lavoro che in Italia era così sporco. Io non c'ero qui, ma adesso ci sono e sono onesto. Già, io sono arrivato in Italia onesto e me ne andrò da onesto: però, adesso abbassiamo i toni, così siete tutti più felici...», Il Corriere della Sera, 25 febbraio 2010

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