giovedì 5 maggio 2011

Giovani, cioè vecchi

I giovani, quando ci si mettono, sanno essere più patetici dei vecchi. Meritano un’attenzione speciale, perchè, anche se è banale dirlo, saranno gli adulti di domani, e quelli fra loro impegnati in politica i politici del futuro.

Nella gara alle cretinate, le nuove leve vicentine si danno senza risparmio. L’ultimo spettacolo più grottesco ce l’ha offerto la Giovane Italia. Dovrebbe essere, da statuto, l’associazione juniores del Popolo delle Libertà. Un partito liberale alla Berlusconi, cioè all’amatriciana, ma pur sempre, almeno di nome, ispirato all’Occidente liberal-democratico, filo-americano e anti-totalitario. La realtà è che al suo interno pullulano i cultori del Duce e del folclore fascio. Chiariamo: questi non sono veri nostalgici neofascisti, come li ha definiti con strumentale allarmismo il sindaco Variati. Questi sono solo fighetti che si trastullano infantilmente con il mito del fascismo e di un’Italia che non c’è più e che non può più tornare.

Un fascista degno di questo nome non avrebbe mai fatto quello che hanno fatto Benigno e company: inscenare il siparietto fotografico del saluto romano con bandiera della Rsi in occasione del 25 aprile, per poi ritirare in fretta e furia la foto, facendosela sotto, e sostenere che si trattava di una goliardata. Sui fascistoni di un tempo, i missini, si può dire tutto il male possibile, ma se uno fra loro si fosse sognato di far passare una provocazione simile per una ragazzata innocente lo avrebbero preso e gli avrebbero dato una solenne lezione. Non ci sono neanche più i fasci di una volta (benchè a farci dubitare della cosa ci sia in circolazione un soggetto come l’assessore Donazzan). Un applauso, dunque, a Luca Zanon che pur avendo partecipato alla pagliacciata ha avuto il buon gusto di dimettersi dal suo incarico istituzionale di presidente della consulta studentesca.

Ma è un segno dei tempi che i ragazzi di oggi corrano ancora dietro, dopo quasi settant’anni, agli odi e alle dispute dei loro padri e dei loro nonni. Vuol dire che sono incapaci di fare quel che hanno sempre fatto i giovani di tutte le epoche da che mondo è mondo: fare una sana tabula rasa del vecchiume e delle arteriosclerosi ideologiche dei matusa, per pensare, come fisiologia vuole, al qui e ora. L’avvenire non si costruisce restando attaccati a ciò che andava bene un secolo prima, bisogna avere la capacità e la volontà di andare oltre. Il guaio del nostro presente è che i venti-trentenni non possiedono nè l’una nè l’altra, e si scannano su fascismo e comunismo come autentici idioti. Giovani fuori, vecchi bacucchi dentro. Fanno pena.

Per dire: che bisogno c’è, caro Giovanni Diamanti, di riesumare i morti dalle tombe con la gratuita e grottesca ossessione per le targhe da intestare ora a Ramelli e domani, che so, a un martire dell’altra parte? I problemi sono altri e ben più gravi e pressanti: la precarietà esistenziale, la disoccupazione lavorativa, l’incultura dilagante (i cervelli portati all’ammasso dal becerume televisivo), il vuoto di valori forti che poi genera quel rifiuto schifato della politica attiva di cui tutti si lamentano. Piantiamola con questa trovate catacombali, che possono giusto dare brividi di piacere a uno come Poletto.

Io penso che i giovani abbiano il diritto e il dovere di mettere una pietra sopra a ciò che è stato. Non nel senso di dimenticare o di rinnegare, che sarebbe ingiusto e sbagliato. Ma smettiamola una buona volta di fare politica a colpi di cadaveri e col passatismo di maniera. I fascisti e antifascisti in servizio permanente effettivo, a 66 anni fatti e finiti dalla fine della guerra civile, sono soltanto conservatori, anzi reazionari. Da un anziano partigiano o un repubblichino si può capire e, volendo, accettare. Da uno di venti o trent’anni, no.

Alessio Mannino
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