venerdì 22 luglio 2016

La Pedemontana di Zaia in formato Ladylike

Il Corriere del Veneto, il GdV in questi giorni si sono soffermati ostinatamente nel descrivere come «una impasse» la situazione di stallo che da mesi colpisce Sis, il colosso piemontese delle costruzioni che in regime di iniziativa privata, con tutto ciò che comporta la cosa in termini di rischio di impresa, ha il compito di realizzare la Pedemontana Veneta.

Corveneto e GdV, sposando acriticamente la tesi del governatore Luca Zaia, dell'assessore ai trasporti Patrizia De Berti e quella del capogruppo dem in regione Alessandra Moretti, che dovrebbe essere all'opposizione peraltro, riferiscono che la linea di credito da 1,6 miliardi che la banca d'affari americana Jp Morgan sarebbe pronta a fornire a Sis per completare la Spv, nota anche come Spresiano Montecchio, è bloccata dal niet di Cassa depositi e prestiti in ragione di una non ben precisata guerra tra banche. Si tratta di una ricostruzione stupida prima che non vera.

Il «placet», questo è il termine ambiguo che usa Marco Bonet sul Corveneto di oggi in pagina 3 è un eufemismo (e non ho capito se il bravo collega se ne renda conto) per nascondere l'espressione corretta e vera che andrebbe usata che è garante di ultima istanza. Detto in altre parole il placet di Cassa depositi e prestiti altro non è che la garanzia sancita per contratto che se Jp Morgan non avrà indietro i soldi prestati, sia in termine di capitale sia in termini di un mastodontico interesse all'8% giustificato dall'altissimo rischio che i pedaggi a causa di transiti esigui mai ripagheranno l'opera, sarà proprio la Cassa, che è di proprietà statale a rimetterci la differenza.

Il che pone due problemi: uno di ordine etico e politico, l'altro e conomico giuridico. In primis la Spv è stata sbandierata come l'opera che non sarebbe costata una lira allo Stato. Ad oggi il conto sulle spalle pubbliche è di almeno 600 milioni, il tutto in ossequio di una serie di interventi assai border line rispetto alla norma. In secundis l'operazione Cdp rischia di incappare nel divieto assoluto ad operazioni del genere sancito da un allegato al nuovo statuto votato nel 2011 il quale dice «no agli investimenti in società strategiche che si trovino in situazione di crisi economica e finanziaria o rischino di trasferire a Cdp degli oneri derivanti da processi di ristrutturazione in corso». E ancora, un eventuale prosecuzione nella direzione di un intervento seppur quale garante di ultima istanza, espone l'operazione alla forche caudine certe delle norme europee in tema di aiuti di Stato: «... sono incompatibili con il mercato interno, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza», questo è quanto sancisce l'articolo 107 comma 1 dei Trattati consolidati della Unione Europea, ovvero l'Abc per chi si occupa di grandi opere. In questo senso nemmeno il comma 3 c dello stesso articolo («gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche,  sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse») può fornire una adeguata scappatoia perché le condizioni in cui si materializzerebbe l'operazione perché portato finale sarebbe comunque quello della alterazione delle condizioni di concorrenza. E ancora, l'intervento di Cdp esporrebbe tra l'altro la convenzione in essere tra privati e pubblico al superamento dell'asticella in quanto mancata assunzione del rischio di impresa da parte dello stesso privato.

Ora la domanda da fare a Zaia, ma soprattutto a Moretti e a De Berti che sono pure due avvocati, è semplice: ma come mai l'asseverazione sul piano Jp Morgan non viene chiesta ad un'altra banca privata? La risposta è semplice. Nessun soggetto privato si assumerebbe quel rischio, che è considerato incompatibile con la profittabilità dell'investimento. A meno di una copertura pubblica. E così si ritorna da capo. Non è nemmeno corretto affermare, come fa Bonet, che la Spv è completata al 30%. Questi sono i dati forniti dalla struttura commissariale. Ma basta un giro in auto da Montecchio Maggiore nel Vicentino a Spresiano nel Trevigiano per constatare che le cose non stanno così. Ad ogni modo, a detta della grande stampa, la giunta regionale si dice certa che l'operazione si farà. Il che pone un dubbio inquietante. Zaia, De Berti, Moretti o il ministro alle infrastrutture Graziano del Rio hanno avuto assicurazioni che chi vigilerà in caso di contenzioso chiuderà un occhio addomesticando le norme a questioni d'opportunità? C'è poi un dato antropologico su Moretti che non va dimenticato. In queste ore l'ex deputata del Pd spara sul favore del governo rispetto alla Spv, cercando di mostrare una grande preparazione sull'argomento. I colleghi della stampa però non fanno rilevare che durante la campagna per le regionali del 2015 a Castelgomberto proprio la Moretti rimediò una delle sue tante figure barbine quando interrogata dai comitati che si battono contro la Spv ammise con imbarazzo di non sapere che l'esecutivo guidato da Matteo Renzi avesse prorogato la nomina del Commissario alla Spv Silvano Vernizzi. Si giustificò spiegando che non aveva potuto da vedere vicino gli atti. Peccato però che la cosa stesse scritta su tutti i giornali regionali. Non è che qualche giornalone più o meno confindustrialmente interessato ai destini di bottega sia direttamente interessato anche a quelli della Pedemontana tanto da cancellare le gesta passate di Ladylike Moretti e delle sue cerette a favore di un attivismo quasi sfrenato a favore di un'opera cara al suo ex nemico Zaia?

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