mercoledì 22 dicembre 2010

La casa di vetro coi vetri appannati

«Le amministrazioni rendono noti, mediante inserimento nelle proprie banche dati accessibili al pubblico per via telematica, gli elenchi dei propri consulenti indicando l'oggetto, la durata e il compenso dell'incarico». Così recita l'articolo 34 comma secondo del decreto legge 223 del 4 luglio 2006. Si tratta di una norma voluta dall'allora governo di centrosinistra capitanato da Romano Prodi. La novità fu accolta molto favorevolmente da gran parte della politica e dalle associazioni degli utenti nonché dei consumatori. Al comune di Vicenza però lo spirito del decreto è stato disatteso. Dagli elenchi manca completamente la frazione del 2009. Infatti su 55 incarichi censiti solo due rispettano alla lettera il dettato del decreto poi convertito in legge. Da parte sua però la giunta di centrosinistra si dice «già al lavoro per colmare la lacuna».

LE CIFRE. Secondo i tabulati inseriti sul sito del comune di Vicenza gli incarichi di consulenza affidati nel triennio 2007-2008-2009 (quelli per i quali è possibile ed è dovuto dare conto) sono 55. All'appello però mancano tutti gli incarichi del 2009. Per di più l'amministrazione dovrebbe rendere anche disponibili quelli dell'annata in corso che sta per chiudersi, anche se non si sa se gli uffici ultimeranno la pratica col chiudersi dell'anno solare o solo dopo l'approvazione del bilancio consuntivo per il 2010.

Rispetto ai 55 record forniti però solo due contengono il nome, l'importo e la natura della consulenza. Si tratta della nomina dell'avvocato Daniele Sterrantino del foro di Roma come «quale arbitro del comune per la risoluzione di qustioni economiche tra comune di Vcienza e Aim trasporti». La cosa singolare però è che l'altro record completo è quello in cui si revoca l'incarico allo stesso legale. Per cui in realtà il numero delle consulenze calerebbe a 54; nessuna segnalata in modo regolare.

Tra i nomi cui viene affidata una consulenza senza indicazione dell'importo c'è quello del blasonato professor Vittorio Domenichelli, tra i luminari del diritto amministrativo in Italia. Tra gli altri ci sono incarichi alle psicologhe Giuliana Fabris, Daniela Martini e Maria Giovanna Corradin. Con loro figura un incarico nell'ambito della protezione civile all'ingegnere bassanese Luigi Lago. All'avvocato Alfredo Bianchini invece viene conferito un incarico speciale per dirimere la questione relativa alle autorizzazioni per la ditta Send srl di Settecà (si tratta di un caso che fece discutere e che fa ancora discutere oggi).

URBANISTICA ED ECOLOGIA. Ma è l'urbanistica (con gli ambiti collegati ovvero esprori, indagini topografiche e altro) a fare la parte del leone degli "omissis". Sia per quanto riguarda i nomi sia gli incarichi. Addirittura nel 2007 la giunta dell'ex sindaco Enrico Huellweck affida una consulenza per un non precisato «piano di comunicazione» relativo al settore dell'urbanistica. L'ingaggio avviene a beneficio del milanese Giovanni Padula e del vicentino Cristiano Seganfreddo, quest'ultimo molto attivo anche sul versante delel collaborazioni con l'attuale giunta di centrosinistra. Sempre sul versante urbanistico e sempre nel 2007 la vecchia giunta assegna un incarico per la realizzazione di un documentario al film-maker Corrado Ceron e con lui a Giovanni Santonocito e a Miriam Marini. Gli importi non sono indicati.

Contestualmente l'amministrazione non indica una serie di incarichi esterni nel ramo ecologia. Alcuni tra questi riguardano la spinosa presenza di inquinanti nell'area ex Zambon e nel comparto del cosiddetto "PP6 Nuovo Teatro".

LA GIUNTA. L'esecutivo municipale comunque fa sapere che non è rimasto con le mani in mano. «Nessuno ha intenzione di perder tempo - sottolinea l'assessore ai servizi informatici e al personale Tommaso Ruggeri - tanto che di recente sono stati sollecitati tutti gli uffici competenti. A brevissimo quegli elenchhi saranno aggiornati secondo il dettato della legge. La trasparenza - aggiunge l'assessore - è un nostro valore. Va ache detto che in questi mesi molte delle nostre risorse sono state assorbite dall'alluvione. Ma ribadisco che ci stiamo muovendo rapidamente».

Marco Milioni
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mercoledì 15 dicembre 2010

Viva i piccoli imprenditori. Se non pensano solo ai quattrini

Orgogliosi, questi veneti alluvionati. Ma più ancora: autonomi di fatto. E di conseguenza con poca o punta fiducia nello Stato erogatore di aiuti. Le richieste di risarcimento da privati e imprese sono drasticamente inferiori alle stime dei anni: da Vicenza e dalla vicina Caldogno, fra le più colpite dall’esondazione dei fiumi dell’1 novembre scorso, le domande di rimborso arrivano a 145 milioni di euro in totale. Cioè meno 130 milioni rispetto al calcolo fatto dalle autorità. Questo dato, macroscopico, basta a far capire cosa sta facendo risollevare le popolazioni sommerse da un disastro provocato, a monte, dal troppo cemento di una regione iper-sviluppata come il Veneto: la cooperazione e il senso di comunità.

Parrà strano, ma è così. I soldatini del lavoro come religione, gli alfieri del produttivismo spinto, i giapponesi d’Italia, quando c’è da aiutare il proprio vicino, diventano solidali come pochi. Chi scrive ha visto all’opera non solo i volontari (molti dei quali giovani e giovanissimi) animati dall’orrore dell’emergenza, ma il fiorire di una catena di solidarietà che ha incluso imprenditori, associazioni, e soprattutto singoli cittadini e famiglie, usciti di casa a spalar fango e a donare, oltre al proprio tempo, anche oggetti e beni perduti dal compaesano. Un’azienda di mobili, per dire, ha regalato venti cucine ad altrettante case rimaste allagate. La Caritas ha staccato assegni da decine di migliaia di euro. I musicisti hanno allestito concerti di beneficenza. La rete di amicizie e conoscenze si è attivata per rifornire gli alluvionati di quanto mancavano nell’immediato. Le contrade sono tornate ad essere borghi in cui il dirimpettaio non è più un estraneo che a malapena si saluta, ma la faccia conosciuta con cui si condivide il proprio spazio domestico. Cifre e statistiche non ce ne sono, per misurare ciò che non è misurabile: il bene della prossimità.

Sono schizofrenici, questi veneti? Ossessionati dalla ricchezza materiale da un lato, e capaci di una socialità spontanea e generosa dall’altro? Sicuramente la mitologia del padroncino, fondata sul fai-da-te, sulla scalata individuale al benessere economico, ha dato i suoi colpi di piccone e di bancomat all’umanità di genti contadine, povere e dignitose, che al fondo conservano ancora il decoro della buona amministrazione risalente alla Serenissima Repubblica di Venezia. Ciò nonostante lo ribadiamo: è stata la corsa all’oro dell’ultimo quarantennio ad aver stravolto il paesaggio, naturale e interiore, di una regione oberata di capannoni vuoti, centri commerciali pieni e urbanizzazioni selvagge. I colpevoli sono gli stessi, loro: i veneti. Epperò proprio quel fai-da-te, quell’impulso collettivo a costruirsi con le proprie mani il futuro, quel fastidio per le regole di Roma, quell’attaccamento a ciò che si ha perché frutto di ciò che si è, quell’impasto di semi-legalità, di egoismo e di localismo (l’evasione fiscale come rivendicazione anti-statale), tutto questo ha come rovescio della medaglia una società che, se può, fa volentieri a meno dello Stato centrale. Senza vittimismi, senza piagnistei.

C’è del buono, in questo autonomismo deturpato dal troppo amore per gli schei. Allora proviamoci, a lavorare sul concetto, così vissuto e per nulla teorico, della comunità che si identifica nell’imprenditorialità diffusa. Perché le piccole imprese, anima di questo pezzo d’Italia che si sente così poco italiano, corrisponderebbero a quell’economia a misura d’uomo di cui c’è bisogno. Ma siamo ancora alla preistoria di un’altra possibile storia. Finchè i laboriosi padroncini veneti resteranno avvinti al mito della competizione globale (la provincia di Vicenza esporta più della Grecia pre-crisi), il ritorno al sano locale resterà una bandiera propagandistica in mano alla politica strumentalizzatrice. Non è questione, si capisce, di volontà. E’ l’essere inseriti a pieno regime negli scambi di commercio mondiali ad ostacolare una riconversione delle piccole e medie aziende su consumi non drogati dalla sovrapproduzione. E così si giunge al nodo cruciale che ci tiene tutti schiavi: fin quando il sistema economico globalizzato non sarà imploso per effetto di una decrescita inevitabile, nessuna alternativa di società più umana sarà realisticamente pensabile. Tuttavia, i germi di una vita nuova sono già presenti. I piccoli imprenditori veneti, con le loro contraddizioni, stanno lì a dimostrarlo.

Alessio Mannino
da: www.ilribelle del 15 dicembre 2010
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lunedì 13 dicembre 2010

Calearo un, due, tre

Ebbene sì: nel suk parlamentare, a svettare è lui, il deputato eletto col Pd, poi passato all’Api (per chi non lo sapesse: il micro-partito di Rutelli) e ora nel gruppo misto, Massimo Calearo Ciman. Un raro esempio di coerenza, onestà e bassezza morale. Com’è possibile? Possibilissimo. L’industriale vicentino, ex presidente di Federmeccanica ai tempi della Confindustria di Montezemolo, ha il pregio di non nascondere dietro ipocrite conversioni dell’ultima ora le motivazioni che lo trattengono in politica e che lo hanno portato via via in braccio al blocco berlusconiano: nessuna idea, solo fedeltà di casta. Quella confindustriale.


C’è la fiducia al cosiddetto governo, martedì 14 dicembre. Fra i banchi del parlamento si è scatenato il calciomercato. Pare che con 500 mila euro si possa fare l’affare e portarsi a casa un onorevole o un senatore. Antonio Razzi dell’Italia dei Valori, «con sofferta decisione» esce dal partito di Di Pietro e voterà a favore di Berlusconi, odiato come il male assoluto fino al giorno prima. Sentiamo Calearo, bocca della verità: «A me personalmente nessuno ha mai prospettato niente, del resto non ne avrei bisogno. Ad ogni modo non ho problemi a dire che umanamente non condanno uno che, prendendo un certo stipendio ed avendo certi impegni economici, ora che non esistono più le ideologie fisse accetta una ricandidatura ed un aiutino. In certe condizioni è difficile dire di no, soprattutto se dalla tua parte ti hanno fatto capire che non ti ricandideranno». Ricco di suo, effettivamente mezzo milione di euro, che pure non gli farà certo schifo, non deve essere la svolta della vita. Ma il punto, signora mia, è che non ci sono più i valori di una volta: le “ideologie fisse”, come le chiama Massimo il pragmatico.

E allora l’unico metro di misura per un pover’uomo che, metti caso, si sia progettato un futuro grazie alla politica diventa l’incubo della ricandidatura: mi ricandideranno o no? Se la risposta è negativa o incerta, nulla di male a saltare il fosso. Con una buona uscita nell’ordine di centinaia di migliaia di euro, poi, sarebbe da fessi rifiutare - fa intendere neanche troppo velatamente il realista Calearo.
Però anche lui: transitare da un partito all’altro come si cambia il tram… Non si fa. Il padroncino del Nordest, lo diciamo a ragion veduta perché abbiamo avuto l’occasione di conoscerlo, ragiona da padroncino del Nordest: logica lineare con solidi e neri paraocchi che gli rendono la vista impermeabile alle critiche, e che tuttavia gli fanno cogliere la realtà secondo una visuale inattaccabile: esiste solo il suo punto di vista, il resto non conta.

Lo spiega bene lui stesso: «Negli ultimi due anni si è verificato un completo ribaltone. Il Pd guardava a Obama e adesso vede Vendola. Il Pdl ora si trova spaccato da Futuro e Libertà. Quando cambiano così radicalmente le condizioni, non puoi accusare nessuno di essere una bandiera al vento. Prendiamo proprio il mio caso. Una sera vengo invitato da Veltroni ad addormentarmi con il sogno di un partito di governo che combatte la lotta di classe e la mattina dopo mi sveglio con Bersani che ci porta a Cuba e alimenta l’odio di classe». Capito? Lui in testa si era fatto il film di una forza all’americana, un remake italiano di Obama, e Veltroni per lui ne era il regista, produttore e garante. Non importa che sapesse benissimo già allora, nel 2008, che nel Pd c’erano anche D’Alema e il suo ventriloquo Bersani, con quel che resta dell’apparato saldamente nelle loro mani. Non importa che Veltroni non c’entrasse un fico secco con Obama, se non per il gusto di Walter per il buonismo generico che scalda i cuori e prepara la vaselina (è molto più Obama un Vendola, col suo millenarismo parolaio).

E non importa che di Bersani tutto si possa dire tranne che si porti nel sangue tracce di veterocomunismo alla cubana (ché poi anche nell’isola di Castro il castrismo sta scolorendo anno dopo anno, ma Calearo evidentemente legge solo la politica interna e l’economia, sempre che legga i giornali).
 E arriviamo al dunque: il problema è che «si continua a guardare alle ideologie, invece che alla situazione economica del Paese. E le colpe non le ha Berlusconi, ma l’opposizione che non c’è». Le ideologie, queste maledette finzioni che non aiutano le imprese. Perché la bussola di Calearo è regolata solo da loro, dagli imprenditori, da quelli come lui. Il resto della popolazione? Non pervenuta. «Passerò anch’io per il centro della politica, dove porterò con me i suggerimenti dei tanti industriali metalmeccanici che mi fanno sempre sentire a casa, dovunque li trovi. Sono loro i miei consiglieri, non certo i politici. I parlamentari sono colleghi miei a tempo, gli imprenditori sono miei colleghi a vita».

Questo è parlar chiaro. Lo diciamo senza sarcasmo: Calearo dice pane al pane e vino al vino. Per lui la politica è solo la continuazione degli affari con altri mezzi. E tutto ciò che ostacola questa visione, gretta e corporativa ma sincera, è “ideologia”. I “suggerimenti” di cui si farà portatore li immaginiamo già: lobby, lobby e ancora lobby per applicare i diktat indiscutibili del mercato e dei suoi padroni (e dei padroncini come lui, che invece di separare l’interesse delle piccole e medie aziende da quello della grande industria assistita e grassatrice, come sarebbe giusto, la adula e se ne mette a rimorchio). Bravo Calearo: almeno non ti atteggi a uomo che ha un’idea. Non ne hai una che sia una. Ammetterlo con candore ti fa tristemente onore.

Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del giorno 10 dicembre 2010
riportato su lasberla.net del giorno 11 dicembre 2010
Tutti i virgolettati sono ripresi dall’intervista apparsa sul Corriere del Veneto, «Sognavo Barack Obama ora sto con Berlusconi. Non lo sfiducio», 8 dicembre 2010.

venerdì 3 dicembre 2010

Monicelli, esempio di vita

Su Mario Monicelli, il maestro Monicelli (lui detestava essere chiamato così), il genio della commedia Monicelli, il regista Monicelli dirà da par suo il nostro Menconi, ben più ferrato di me riguardo la settima arte. Io mi limito, senza pretese di farne un ritratto vero e proprio, a ricordare il giovane vecchio Monicelli per quello che mi ha impressionato di lui al di là della sfolgorante carriera cinematografica: l’esempio umano. Leggendo le interviste degli ultimi anni, non me ne perdevo una, l’uomo che ne usciva mi è sempre parso non soltanto, naturalmente, di grande cultura seppur senza sfoggio né erudizione, di levatura morale sopra alla media e di esperienza temprata da novantacinque anni di conoscenza degli italiani (questo popolo “pavido”, che pure in passato, come individui singoli, possedeva una sua “dignità” ma che nel suo carattere nazionale è inguaribilmente un popolo di “servi”: come non accostare questo giudizio così duro e amaro di un comunista mai pentito con quello, identico, di un anarco-conservatore come Montanelli?).

Oltre al santino, si percepiva altro. Questo “altro” che lui ci ha sbattuto tragicamente in faccia l’altro ieri sera gettandosi dal quinto piano dell’ospedale in cui, malato terminale, era ricoverato: la malinconia. Era un grande malinconico, Monicelli. Nell’ultimo scorcio della sua esistenza, malandato in salute e privato del mestiere che era stato tutta la sua vita, poteva essere compatito, banalmente, come un depresso, un depresso senile. Eppure, nella sua opera di dissacrazione dell’italiano, ideal-tipo cialtrone e generoso, perdente e guascone, tragico e comico insieme, a noi sembra di aver scorto un suo pessimismo di fondo. Quel pessimismo caratteristico delle anime tormentate perché sensibili e refrattarie alle convenzioni, anche di buon ordine psicologico e morale, perché troppo lucido, troppo intelligente, troppo spietato con sé stesso e il mondo. Un’amarezza connaturata che fatalmente, da italiano qual era anche lui, si convertiva in umorismo, nel rovesciare il serio in faceto, nel buttarla sul ridere. Ma sempre con un’inquietudine perenne che bruciava dentro.

Aveva le sue idee, Monicelli, ed erano e sono rimaste fino all’ultimo di sinistra. Ma non fu mai, con quella sua allergia alla retorica e al doverismo, un intellettuale “impegnato” (lo era a modo suo) né tanto meno “organico”, un trinariciuto, un sensale di partito. Anche qui: troppo individualista e libero, troppo arso dal senso di effimero e dal gusto per l’ironia, per prendersi troppo sul serio. Gli piaceva la solidarietà e lo spirito di consorteria che fino agli anni ’70 univa registi, attori e lavoratori dello spettacolo. Ma più con l’animo dei compagni di scuola che vanno a bere insieme dopo la lezione che non con quello di casta e di fazione, magari ideologica. Amava la commedia perché viveva la vita come una dolorosa commedia. E quando, di recente, invitava gli studenti a “ribellarsi, protestare, sovvertire”, quando sognava, lui ultranoventenne ma mai domo, una “rivoluzione” che spazzasse via la mediocrità di questa brutta Italia, quando liquidava il tempo presente con giudizi caustici e senza possibilità d’appello, in lui parlava il suo lato nero che trovava la sublimazione proprio nella risata catartica e liberatoria. Ma non consolatoria né, come potrebbe fare un borghese piccolo piccolo che Monicelli aborriva, assolutoria. Tanto è vero che era capace di pensare, da ribelle radicale, che «la speranza è una trappola dei padroni». Chi vive sperando, insomma, muore schiavo. Monicelli ci ha dato l’ultima lezione sottraendosi alla fine misera che lo aspettava e che evidentemente lo atterriva: intubato, irto d’aghi e trattato come un vegetale. Ha avuto il coraggio di suicidarsi, non dandola vita alla morte. Ultimo ciak di un uomo che amava troppo la vita per non disprezzarla. Perdonate l’elogio funebre, ma se lo merita, il Monicelli senza illusioni e senza paura.

Alessio Mannino
da www.ilribelle.com del giorno 1 dicembre 2010
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lunedì 29 novembre 2010

Perché siamo “sotto attacco”

Le cronache, in particolare quelle relative ai presunti disordini in Finmeccanica ed alle dichiarazioni del ministro Frattini che l'Italia è sotto attacco, portano alla ribalta un lato dell'economia poco commentato sulla stampa: le azioni di penetrazione commerciale e industriale come strumento di politica estera da parte di una nazione, nonché la difesa da esse. Da sempre gli Stati attuano politiche mercantilistiche nelle quali i governi operano d'intesa con le imprese, per strategie di influenza. Negli ultimi anni tale fenomeno è aumentato d'intensità e anche l'Italia sta giocando la sua partita di «geopolitica economica»: in attacco e in difesa.

Da quali attacchi l'Italia deve difendersi? Multipli, ma ora mirati principalmente su Finmeccanica. Dai primi anni '90, la Francia persegue la strategia di bilanciare il riemergere della potenza tedesca cercando di conquistare il dominio del mercato italiano. In particolare, punta a conquistare Finmeccanica perché ciò permetterebbe al sistema industriale francese della difesa di essere il più grande in Europa e di condizionare le relative politiche europee. Quando il governo francese vide che Finmeccanica, dal 2003, si stava trasformando da preda in predatore, con l'acquisizione di una parte dell'industria militare inglese (elicotteri ed elettronica) e, più di recente, con l'acquisto di importanti aziende Usa del settore, tentò di destabilizzarne i vertici e di influenzare più decisamente il nostro governo per bloccare l'emergere di un potenziale italiano perfino superiore a quello francese. Parigi ha inoltre la priorità di imporre la propria tecnologia nucleare nel futuro programma energetico italiano, cosa che è contrastata da precedenti accordi tra le aziende di settore nel gruppo Finmeccanica ed imprese statunitensi, nonché giapponesi.

In sintesi, la Francia di Sarkozy ha un interesse rinnovato nel destabilizzare il vertice di Finmeccanica che si è dimostrato così competitivo. A questo interesse francese si aggiunge quello di imprese americane che non hanno visto di buon occhio l'emergere di una Finmeccanica capace di competere sia nel mercato interno statunitense sia nei mercati terzi con gli americani stessi. Alcuni gruppi statunitensi stanno premendo sul governo di Washington per contenere gli italiani. Altri, va detto, hanno un partenariato vantaggioso con gli italiani e ciò riduce la pressione ostile. Ma l'Amministrazione Obama vede con preoccupazione la relazioni politiche ed industriali dell'Italia con la Russia, con la Libia ed altri Paesi arabi, anche perché vorrebbe che le aziende statunitensi sostituissero quelle italiane in alcune aree chiave. Quanto accennato, tuttavia, appare sufficiente per avvertire i lettori che quando leggono o vedono notizie su Finmeccanica devono pensare a cosa ci sia dietro prima di giudicare.

Carlo Pelanda
da Il Giornale di Vicenza del 29 novembre 2010; pagina 1

mercoledì 3 novembre 2010

Le radici, quelle vere

Si parla tanto, forse troppo al giorno d’oggi, di “radici”, di “identità”, di “tradizioni”. Siamo abituati anche a inseguire queste chimere di festa in festa, di manifestazione in manifestazione, tra improbabili bardi celti e dubbi cavalieri medievali, sagre gastronomiche dai sospetti menù e insopportabili comizianti. Diciamo la verità: è un gioco che ormai ci è venuto a noia. Eppure, di tanto in tanto, i cieli si aprono e il miracolo avviene. E può capitare a chiunque di noi, inatteso, quasi per caso.

Prendete una radura tra boschi di noci e pascoli verdi, in una valle remota del Caucaso centrale, col sole d’autunno che indugia arrossando le vette e il fresco pungente della notte che sale da un ruscello gelato. Prendete una grande tavola apparecchiata su rozzi supporti di legno, profondi catini di terracotta pieni di pezzi di carne arrostita o bollita, cumuli di pani e di frutta, odorosi canestri di ricotta, anfore di vino e - invitanti ma anche minacciose - numerose bottiglie di vodka freddissima. A capotavola, sotto un grande noce, siede un imponente vecchio “atamano” cosacco: il Maestro di Mensa, metà patriarca e metà sacerdote, che assegna i posti e fissa l’ordine dei brindisi. Al centro della radura, una grande antica croce di pietra che reca al centro, dove i due bracci s’incontrano, un simbolo solare di gusto pagano. Una croce antichissima, sfumata dal verde del muschio, ai piedi della quale si ammucchiano doni: frutta, fiori, monete di metallo.

I brindisi sono molti e rigorosamente rituali: il Maestro di Mensa pronunzia i principali, in ordine ben stabilito. Negli intervalli tra un brindisi e l’altro - una decina di minuti - , si mangia, si beve, si ride, si conversa. Il primo brindisi a Dio Onnipotente; il secondo a Maria, Madre di Dio; il terzo a san Giorgio protettore dei cavalieri caucasici; il quarto alle schiere angeliche; il quinto a tutti i santi; il sesto a tutti gli eroi caduti in battaglia, dai tempi più antichi narrati dai canti epici dei popoli alani fino alla guerra di liberazione contro i georgiani del 2008; il settimo a tutti i commensali e ai loro morti. Ad ogni brindisi ci si alza in piedi e si grida in coro Amen. Un ottavo brindisi, al generalissimo Stalin, non è obbligatorio ma è molto gradito. Stalin, georgiano da parte di padre, è considerato osseta perché tale era la madre: si pensa a lui come a una specie di mitico ultimo czar, i suoi busti e i suoi ritratti dominano ancora le piazze e il suo cognome è pronunziato non Doughasvili, alla georgiana, ma Doughati, all’osseta.

Dopo i brindisi rituali, ci si aspetta che anche gli ospiti ne propongano a loro volta almeno uno. Il bicchiere di vodka di ciascun brindisi va trangugiato d’un botto: il contrario, sarebbe indice di slealtà e di doppiezza d’animo. Agli ospiti stranieri si consiglia, immediatamente dopo ogni bicchierino (otto fanno un buon mezzo litro), una bella sorsata dell’ottima, freschissima acqua delle fonti caucasiche. Ma le libagioni non finiscono lì: ci sono le acquaviti di frutta (ogni famiglia produce la propria, e ti tocca ad assaggiarle tutte), un discreto vino bianco frizzante, un buon rosso corposo – sembra proprio che la vite sia originaria di qua e che il vino sia stato inventato tra queste valli – e per fortuna tanto succo di mela per innaffiare polli e montoni e tanta frutta per accompagnarli. Intanto, i cantastorie intonano le loro melodie antichissime, sull’onda delle quali si puo parlare dell’eroe Soslan e del suo viaggio al Paese dei Morti come del conflitto del 2008. Poi i giovani in tunica rossa o nera e cartucciere sul petto, come nei films di Greta Garbo, danzeranno fino a notte con le ragazze.

Non vi ho raccontato una favola. Vi ho descritto quel che è successo a me viaggiando, in pieno settembre del 2010, nella repubblica caucasica dell’Ossezia del Sud che – non ancora riconosciuta da tutti i paesi del mondo – celebra quest’anno il Ventennale della sua indipendenza dalla Georgia e, con i suoi circa 100.000 splendidi, fieri cittadini ambisce a riunirsi alla repubblica osseta settentrionale, 1.000.000 di abitanti, ch’ parte della federazione russa. Si arriva in aereo da Mosca; quindi dalla bella Vladikafkas, a nord della catena montuosa, un viaggio mozzafiato in fuoristrada attraverso uno dei paesaggi più belli (e pericolosi) del mondo porta a Zkinvall, poco più di 30.000 abitanti, capitale del sud: semidistrutta dai georgiani nel 2008 ma dolcissima, allegra, piena di vita e di ragazzi e ragazze belli, cordiali, ospitali, con una gran voglia di vivere e d’imparare.

Anni fa, scrivendo sulle radici della cavalleria medievale, m’imbattei nella lontana cultura caucasica degli osseto-alani e me ne innamorai. Oggi, settantenne, ho scoperto che un mio libro edito trent’anni fa, tradotto in russo, è stato letto e commentato ininterrottamente fra queste montagne. Mi hanno invitato, hanno organizzato una festa in mio onore, mi hanno offerto una decorazione. Ho rispolverato per l’occasione i miserabili brandelli del poco russo imparato molti decenni fa a Mosca: ma ho scoperto di avere una nuova seconda patria. Qui ho ritrovato la gente che avevo conosciuto nella Toscana della mia infanzia: la stessa fede profonda in Dio, la stessa capacità di amare il prossimo, la stessa cordialità sincera non inquinata dall’egoismo e dalla sete di possedere e di apparire. I cercatori talvolta maniacali d’identità e di radicamento che allignano dalle nostre parti dovrebbero recarsi in pellegrinaggio tra queste montagne per scoprire che cosa davvero significa vivere quotidianamente la tradizione e la solidarietà. Qui: tra questi cristiani venati ancora di usanze pagane e che si chiamano fra loro tovarish, alla veterocomunista. Gente per la quale la fede, l’onore, la parola data, il rispetto per i genitori e per gli ospiti, la solidarietà, la venerazione per il passato, il risparmio e la sobrietà (vodka a parte) sono ancora valori fondanti, che s’insegnano ai bambini. Che Dio benedica gli osseti, i loro cavalli, le loro canzoni e la loro libertà.

4 ottobre 2010, nel mio settantesimo onomastico

Franco Cardini
da www.francocardini.net
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giovedì 28 ottobre 2010

A Cesare quel che è di Cesare

«Ringrazio il vescovo, monsignor Cesare Nosiglia, per la riflessione alta, vibrante, profonda che ha portato al consiglio comunale. Peccato non l’abbia compreso quella decina di villani che ha sfruttato questa bella occasione per una malinconica esibizione di ignoranza». Achille Variati, primo cittadino di Vicenza in quota Pd, ha usato queste parole ieri per descrivere una civile protesta dei “No Dal Molin” che senza rumore si sono semplicemente limitati ad esprimere un loro punto di vista. Il vescovo è esente da critiche sempre e comunque, magari per diritto divino? I “No base” (che eventualmente hanno la colpa di non avergliele cantate tutte) hanno violato qualche legge? Ora mi domando, ma Variati non è espressione di un partito che si chiama democratico? Il sindaco è più attento alla legge o alle logge? Tuttavia quando la protesta rispetta la legge, non è essa stessa il sale della democrazia? Ma il sindaco per caso ha chiesto a Nosiglia della sua presenza come pastore delle anime nel Vicentino? Il sindaco Variati ha mai chiesto al vescovo, che sta per lasciare la diocesi, se per caso gli è mai capitato di stigmatizzare con i toni dell’Apocalisse di Giovanni, i conciari accusati di evasione fiscale, tra cui Bruno Mastrotto? Consiglio al pluto-teocratico Variati di fissare bene la foto allegata a questo post che ritrae il vescovo Nosiglia pantocraticamente immerso tra le eminenze conciarie Santo, Bruno e Mastrottinachiara junior. Forse capiamo perché nei confronti delle porcherie del caso “Dirty Leather” sua eccellenza reverendissima, ha preferito stendere un pietosissimo quanto opportuno velo. Si sa, tra paradisi eterni e paradisi fiscali la strada alle volte si confonde. Ne sanno qualcosa allo Ior. E poi mi domando, Ma il Pd non dovrebbe avere un’anima laica? Dove sono gli alleati laici del Pd? Perché l’IdV sta zitta e accetta che Variati starnazzi frasi di sapore fascistoide nel senso franchista e clericalista del termine? Perché l’assessore ai lavori pubblici, il laico e socialista Ennio Tosetto, tace? E poi, l’anima laica del Pd non dovrebbe essere rappresentata dall’assessore alla sicurezza Toni Dalla Pozza e dal presidente del coniglio comunale, anzi consiglio comunale, Topogigi Poletto? Ma proprio Toni Dalla Pozza non era quello che da consigliere d’opposizione si lamentava che la polizia municipale, la sua oggi, fosse obbligata, come da regolamento, al saluto verso la Madonna di Monte Berico (o altra immacolata, non ricordo bene) in determinate ricorrenze? E soprattutto come può Cinzia Bottene, consigliere comunale che rappresenta anche i No Base, accettare di farsi trattare da stupida prima che in modo politicamente indegno? E poi quest’anima del Pd è laica o laida? Io credo che in tutta questa storia la sensibilità dei cattolici non c’entri un fico secco. I cattolici veri, ma credo anche il vescovo, sanno che in democrazia c’è posto per ogni protesta, anche la più vibrante. Ora caro sindaco mi dica: se chi esercita un diritto democraticamente riconosciuto è un villano, chi ruba ed evade che cos’è? Un beato o un martire? Per info citofonare Cesare, ore pasti. «Beada Sanda Ignoranza, ghe fa’ sta’ bbene de gore, de tesda e de panza».

Marco Milioni

giovedì 21 ottobre 2010

Una verità scomoda

Lettera aperta ai vicentini

Ho letto con molta tristezza la stampa locale del 13 ottobre la quale ha parlato del patteggiamento richiesto da Marcello Sedda rispetto al quale c'è il placet della procura della repubblica. Sedda è uno dei personaggi chiave dell'inchiesta dirty leather. Ne è una delle menti finanziarie come si legge sui media. Vedere che l'ammenda per lui preventivata è si e no quella che si accorda ad un ladro di polli rende ogni discorso sulla equità di trattamento dei cittadini di fronte alla legge una seccatura o un insulto. Un insulto per quegli sciagurati che invece di architettare evasioni miliardarie vivono con semplicità, dignità e onestà la loro vita di tutti i giorni. Ora so benissimo che il pattegiamento non è definitivo e che la decisione ultima è prerogativa della magistratura giudicante. Ed è proprio a quest'ultima che rivolgo, col rispetto dovuto, un appello col cuore in mano. I giudici tengano nel dovuto conto il comportamento di Sedda e le leggi italiane. Sperando che rifiutino questa sorta di patto che umilia la gente per bene. Al contempo spero che le mie parole non vengano strumentalizzate dai soliti farisei della tripla morale. Purtroppo dopo la pubblicazione delle notizie sul consulente Sedda non ho sentito alcuna parola di sdegno da parte della politica. Prossimamente per manifestare il mio convincimento accenderò due lumini. Uno in segno di sgomento sotto la procura e un altro in segno di speranza sotto il tribunale. Ecco proprio perché dalla politica e dalle istituzione in merito alla vicenda non ho sentito che un assordante silenzio, chiedo, ai politici in primis, di sottoscrivere questo appello-sostegno nei confronti dei giudici affinché possano decidere in serenità e giustizia. Questo appello vale in primis per il presidente della provincia (e per i suoi amministratori), per gli amministratori della Valchiampo, per gli onorevoli vicentini, per i consiglieri regionali, per il sindacato e le organizzazioni di categoria, ma anche per gli amministratori del comune capoluogo. Potete sottoscrivere il mio appello inviandomi una email (equizifranca@libero.it) o dando commento positivo alla iniziativa sulla mia pagina Facebook che prestissimo sarà aggiornata in questo senso. Alle manfrine di chi marcherà il suo distacco da questa iniziativa spiegando che la magistratura deve fare il suo corso rispondo che tali frasi non hanno senso. I ragazzi che in Calabria manifestano solidarietà ai magistrati messi nel mirino dalle mafie locali sostengono il diritto dovere degli stessi magistrati a lavorare con indipendenza. Ma si scagliano contemporaneamente contro ogni sfregio nei confronti della legalità e del vivere civile. Di conseguenza se ci saranno persone tra le istituzioni e la politica che non sottoscriveranno tale messaggio saranno di fronte alla gente considerate complici morali del metodo Sedda o ghiotto che si voglia dire.

Franca Equizi, una semplice cittadina
equizifranca@libero.it
338-4644442

20 ottobre 2010

venerdì 15 ottobre 2010

Segantini alla figlia sindaco: «Grazie alle tangenti comprata la casa»

Sono tanti i retroscena dello scandalo arzignanese. «Nel 2006 arrivai come direttore ad Arzignano, dove c'era un grande marciume. Lì è stata la mia rovina. Sono una persona che ha sbagliato ed è fortemente pentita per quello che ha fatto». È il 22 marzo quando Roberto Soraci, 60 anni, di Verona, a capo degli uffici finanziari di Vicenza 2, e in precedenza della città del Grifo, getta la spugna e ammette di essere un dipendente pubblico infedele. Lo fa davanti al procuratore Salvarani e al sostituto Peraro. È un passaggio centrale nell'inchiesta “Reset” che qualche mese dopo vedrà l'arresto di alcuni commercialisti di spicco.

Da gennaio il dirigente si macerava perché il clamore delle indagini sulla corruzione con l'arresto del consulente fiscale Marcello Sedda e del luogotenente in pensione della Finanza Luigi Giovine lo stavano prostrando. Del resto, dall'inizio di gennaio il commercialista Vittorio Bonadeo lo aveva avvisato di essere intercettato dalla Finanza. «Bonadeo mi informò - aggiunge Soraci - che, al pari di lui, era oggetto di intercettazioni. Mi disse che probabilmente avevo il telefono sotto controllo e che sarebbero state attuate anche intercettazioni ambientali. Lui mi suggerì di contattare un'agenzia di investigazione privata». In effetti le cose stanno così. Dopo l'interrogatorio di Andrea Ghiotto del 28 dicembre nel corso del quale ha vuotato il sacco per ore, il procuratore Salvarani chiede al tribunale, che le concede, una raffica di intercettazioni telefoniche per scoprire il fango che per un decennio ha allignato all'Agenzia delle Entrate di Arzignano.

SEGANTINI. «Ho avuto la sfortuna di incontrare Segantini - spiega Soraci - il quale mi fece capire che giravano bustarelle e che se avessi chiuso un occhio ci sarebbe stato qualcosa anche per me. Fu Segantini a presentarmi alcuni commercialisti». Lo stesso Filiberto Segantini, parlando con la figlia Alessia, sindaco del comune veronese di zimella, è esplicito sulla sua corruzione. I due sono appena usciti dallo studio del suo legale a Verona, salgono in macchina, chiudono i cellulari pesando di essere al sicuro, e parte la registrazione della microspia de Finanza. «Guarda che per avere continuato a lavorare solo per quello stipendietto... guarda che... saremmo stati... non dico in casa...in affitto... ma quasi... bon ecco», dice ad Alessia, la quale annuisce: «Va ben...va ben così insomma dai». Il padre prosegue: «Purtroppo sono scelte (prendere le mazzette, ndr - annota un finanziere), che uno fa». Alessia: «Sì». Il papà:«Eh... poi se gli va bene, benissimo, se gli va male purtroppo ecco». «Se non fosse saltata fuori tutto sto bordello qua delle pelli e compagnia nessuno avrebbe mica parlato», afferma il funzionario delle imposte da qualche mese in pensione.

Il quale, dopo che sul nostro Giornale il 5 marzo è pubblicato un articolo su un ispettore del fisco che ha confessato di avere preso 150 mila euro in mazzette, salendo in macchina dice: «Che cosa verrà fuori, adesso? Madonna mia, È scoppiata la guerra». Lo stesso Segantini ad alta voce mentre guida dice: «Ho rovinato tutti, ho rovinato tutti». Nelle stesse ore sua moglie parlando con un'amica le spiega al telefono: «Filiberto ha sbagliato e chi sbaglia paga». Nel brogliaccio delle intercettazioni, a proposito della convesarzione intercettata tra Segantini e la figlia, gli inquirenti annotano: «La figlia Alessia, sindaco di Zimella, cerca fin da subito di chiedere al padre se lo stesso conosca qualcuno di importante che possa intervenire nella vicenda, probabilmente per poterla “sistemare” con i minori danni possibili».

SORACI. Ma torniamo a Soraci, uno dei personaggi chiave, quando decide di confessare la propria corruzione che pone fine alla sua carriera. «Il dott. Sedda - spiega - è un grande corruttore. Faceva continue pressioni. Sedda mi fu presentato da Segantini e poi lui qualche volta veniva nel mio ufficio». «In genere percepivo tramite Segantini in genere 5 mila euro». Quindi specifica: «La suddivisione della somma era ad opera di Segantini e le percentuali erano le seguenti: 40 a me, 35 a segantini, 25 a De Monte». Si arriva al 2008 quando si tiene un pranzo all'Hotel Principe di Arzignano. Vi partecipano Sedda, Soraci, Segantini e Giovine: un commercialista, dunque, due funzionari delle Entrate e il comandante della Finanza. «In quell'occasione - conclude Sedda - qualcuno mi domandò se ero a conoscenza di qualche società che era disposta a pagare una cifra importante (si parlò di 200 mila euro) per fermare un'eventuale verifica fiscale o indagine». Il «grande marciume» di Arzignano, le parole sono di Soraci che incassa una mazzetta da 100 mila euro da Bruno mastrotto, è al suo apice. Per il procuratore Salvarani, che si accinge a chiudere le indagini per 16 persone, c'era un'associazione per delinquere che ammorbava la città.

Ivano Tolettini
da Il Giornale di Vicenza del 13 ottobre 2010; pagina 17

venerdì 24 settembre 2010

Basilea3 e le banche padrone

Non è (solo) un gioco di parole. Anche se molti non se ne sono accorti poiché i media non ne hanno parlato più di tanto, domenica scorsa si è svolto un incontro importante tra i governatori della varie Banche Centrali. In particolare, si stanno gettando le basi per lo “storico” accordo Basilea III. Il primo e il secondo accordo - oramai tutti dovrebbero ammetterlo, anche se i guru dell’economia non lo faranno mai - sono stati un fallimento: le libertà delle Banche che hanno portato alla crisi attuale derivano infatti, in buona parte, proprio dalla fatiscenza e dalla mancanza morale ed etica di tali accordi. Ora è il turno del terzo round. Facile riassumere quanto detto, poiché è di una pochezza disarmante (dunque, come accennato nel titolo, una “non notizia”): il punto saliente è l’abbassamento del rapporto tra capitale reale detenuto da una Banca e quello irreale delle sue attività ponderate per il rischio. Ovvero la riserva frazionaria.

Chiariamo subito, poiché la cosa è semplice (ma sconcertante). I più (ancora!) non lo sanno - oppure lo sanno ma la cosa non li indigna più di tanto - ma una Banca è tenuta per legge (...) a detenere una somma minima di denaro contante, o comunque di facile mobilità, rispetto alla somma complessiva che può utilizzare e mettere in circolazione, sotto forma di vari prodotti, tutti immateriali - occhio che questo è il punto cardine - per le proprie varie attività. Ebbene fino a ora tale somma doveva essere pari al 2 per cento. Che significa? Esempio classico: se una Banca vendeva mutui per 100 milioni di euro, doveva averne in tasca, in modo fisico, due. Solo due. Non più di due. Su cento venduti.

In altre parole, siccome la stragrande maggioranza delle transazioni finanziarie avviene sotto forma immateriale, mediante assegni o molto più spesso trasferimenti di cifre da un conto all’altro con un semplice click di un mouse - ovvero numeri scritti, non altro che numeri - la Banca poteva “permettersi” di detenere realmente solo il 2% per cento di moneta di tali operazioni.

Facile intuire il motivo per il quale una situazione del genere può generare insolvenza immediata della Banca stessa: se solo buona parte dei suoi correntisti andassero tutti insieme agli sportelli ritirando i propri soldi in forma contante la banca fallirebbe all’istante. O farebbe una serie di operazioni, avallate dai governi, per evitare proprio tale possibilità (già oggi ci impongono quasi di utilizzare solo assegni, carte di credito, bancomat e transazioni on-line, no?).

Gli accordi di Basilea III prevedono che tale riserva sia spostata verso l’alto, e precisamente al 7 per cento in luogo del 2 per cento come avveniva fino a ora. Il tutto, a scaglioni, per una entrata a regime solo nel 2019. Di qui la notizia vera, che in realtà per i lettori più attenti non lo è: anche con queste nuove regole, le Banche sono autorizzate, vista l’esiguità dell’aumento della riserva frazionaria, a continuare a fare né più né meno che quello che hanno sempre fatto: strozzinaggio legalizzato. Per di più con denaro che di fatto non hanno, che creano dal nulla, scrivendo mere cifre su un pezzo di carta o su un monitor di un computer. Tutto perfettamente legale.

Attraverso il meccanismo di questa leva, le Banche hanno potuto, e potranno ancora, accumulare un attivo enorme nei propri bilanci, pari a un valore molte decine di volte superiore rispetto al reale capitale che detengono. Il tutto nel sonno costante di un mondo che vive all’ombra di questa verità, e che imperterrito continua a bersi le sciocchezze che gli vengono raccontate dai media di massa. Ivi inclusa questa di Basilea III, delle “nuove regole” che non cambiano in realtà i presupposti di base di un sistema marcio e fraudolento.

Per fare un esempio terra terra e alla portata di tutti, il caso italiano in seguito alla crisi dei mutui subprime del 2007 è emblematico: ci avevano detto, dalle nostre parti, che tale crisi non avrebbe intaccato l’Europa e l’Italia, che le nostre Banche erano più stabili eccetera. A conti fatti e aggiornati a oggi, invece, tale crisi è costata all’Italia, oltre al resto, una contrazione del Pil di cinque punti percentuali. Con quello che ne ha conseguito, ne consegue, e ne conseguirà. Ovvero un disastro.

Oggi che cosa si fa? Si modificano di un poco le regole ma si mantiene la barra a dritta verso la stessa direzione. Le Banche potranno continuare a fare “carne di porco” con i prodotti finanziari, potranno continuare a vendere denaro che di fatto non hanno dietro usura e in senso generale potranno continuare ad andare nella direzione stessa che ha causato la crisi del 2007 e che causerà la prossima imminente ondata. Brutalmente: ancora oggi, le Banche sono di fatto insolventi, ma continuano ad operare, e a succhiare sangue alla gente, come se fossero stabili. Ancora oggi possono arrogarsi il diritto di imporre regole a loro uso e protezione - provate ad andare in banca, senza preavviso, e a prelevare una somma di denaro dal vostro conto che superi un limite minimo imposto dalla banca stessa. Ancora oggi, il mondo è governato da loro, e dai loro vassalli politici e industriali.

Valerio Lo Monaco
da www.ilribelle.com del 23 settembre 2010
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venerdì 17 settembre 2010

Pappeppecori

Il sindaco di Vicenza Achille Variati del Pd continua col suo mantra: i nuovi entrati nella maggioranza si sono progressivamente avvicinati a noi, hanno condiviso molto le nostre scelte. Bene. Prendiamone uno a caso. Il neo assessore dell'Udc Massimo Pecori. Vediamo quanto vicino è stato al centrosinistra in questi ultimi 24 mesi.

Giornale di Vicenza del 19 giugno 2008 pagina 18; Pecori parla del piano programmatico del primo cittadino e lo definisce «Un po’ libro dei sogni... Sul nuovo stadio c’è solo un accenno: si dice che ci vuole, ma non dove». Sempre per vicinanza Pecori il giorno appresso in consiglio comunale boccia il documento fondamentale della giunta sull'indirizzo amministrativo. In autunno scoppia il caso Giglioli. Sul GdV del 23 settembre 2008 (pagina 17, attenzione signor Variati, il 17 porta sfiga) Pecori si unisce al coro di coloro che invocano le dimissioni del sindaco e spara: «È chiaro che c’è un problema di maggioranza, altrimenti farebbe bene a respingere le dimissioni di Giglioli. Variati faccia una riflessione sulla sua maggioranza: lo sostiene ancora?». Il sindaco viene massacrato, ma amichevolmente.

Il 30 novembre 2008 sul GdV Pecori attacca la giunta sul blocco alle vetture, ma a fin di bene visto che la pagina scelta è la numero 13, un numero portafortuna: «Stop alle auto: siamo alle solite. Si attuano piani anti-inquinamento inutili che causano disagi solo alle persone in difficoltà». Pochi giorni dopo, è il 15 di dicembre, il paladino dell'Udc riappare sul GdV in campo neutro (pagina 11). Si parla di tasse sui rifiuti e son dolori per la giunta di centrosinistra: «L’Udc è nettamente contraria all’adozione del provvedimento annunciato dall’amministrazione comunale sul ritocco della tariffa rifiuti. L’aumento va contro le famiglie vicentine in un momento di crisi generale». Lo sostiene il consigliere comunale Massimo Pecori, che commenta: «Non vale a nulla prevedere, anzi promettere, una manciata di generiche agevolazioni che, se effettivamente adottate in futuro (ma quando?), andranno a beneficio di un irrisorio numero di nuclei familiari... Il tentativo misero di far passare la riforma come un atto dovuto per migliorare i servizi alla popolazione e agevolare le famiglie più povere si infrange contro i crudi dati di fatto. È invece necessario dare da subito attuazione alla preannunciata intenzione di ricalibrare il sistema di imposizione applicando il principio del “chi inquina paga”».

Passano pochi giorni e sentite come Il Giornale di Vicenza il 20 dicembre racconta la posizione assunta da Pecori sul bilancio comunale: «Dai banchi dell’opposizione, intanto, continuano a partire cannonate. Massimo Pecori (Udc) lamenta un aumento degli sprechi a fronte dei sacrifici richiesti ai vicentini con l’aumento della tariffa rifiuti. L’ultimo caso è l’albero natalizio di piazza dei Signori, addobbato due volte, con incremento dei costi». Non male per il compagno Pecori.

Il sarà assessore dell'Udc, sapendo in cuor suo che comunque è vicino al centrosinistra, passa con serenità il santo natale. Ma poco dopo la befana lascia un carico di carbone ardente nella calza a rete, maglia larga ovviamente, del primo cittadino. Il GdV del 10 gennaio 2009 non dà adito ad equivoci: «Questa vicenda ha fatto compattare l’opposizione (in fondo già si capisce che la cosa gli dispiace, Ndr) mandando in pezzi la credibilità e l’autorevolezza del sindaco e della giunta. Non ci fossero di mezzo i soldi dei cittadini ci sarebbe da ridere. Finora abbiamo assistito a una condotta irrazionale da parte dell’amministrazione comunale». Tiè.

E siccome il carnevale si avvicina e siccome a carnevale ogni scherzo vale anche il sarà assessore ombra Claudio Cicero attacca la giunta ben sapendo che questo è un ottimo metodo per entrarvi. La storia la racconta il GdV del 28 Gennaio 2009 pagina 13 (che fortuna per il sarà assessore ombra, questo il vero motivo della sua superdelega, la cabala?). «È ancora scontro sulle condizioni delle strade. Dopo l’annuncio del Comune, intenzionato a eliminare e sostituire le mattonelle colabrodo di contrà Gazzolle, contrà Cabianca e contrà Piancoli, risponde l’ex assessore alla Mobilità Claudio Cicero, oggi consigliere di opposizione, che quelle mattonelle fortissimamente volle e che oggi difende». E Cicero impugna la mitragliatrice: «Finché ero io l’assessore, non c’erano stati problemi. Il motivo? Semplice: veniva eseguita una corretta manutenzione periodica. Negli ultimi otto mesi non so cosa sia successo: la manutenzione non è stata fatta, le riparazioni sono state fatte in modo errato. Sembra che si voglia boicottare quella pavimentazione, che aveva fatto risparmiare molti soldi e si era dimostrata affidabile. Se il criterio per sostituirla è soltanto qualche sconnessione, allora dovremmo dare un’occhiata ai cubetti di porfido delle strade vicine, o del piazzale di Monte Berico, oppure della rotatoria della stazione, che versa in condizioni pietose». Vai Claudio, è quasi idillio. Il 17 febbraio invece si riunisce la commissione bilancio del comune. Pecori ricompare sulla questione dell'Ici troppo alta per i possessori di terreni (di grosse immobiliari?) e sbotta: «Scandaloso, non tengono conto di una delle crisi economiche più gravi di sempre».

Frattanto arriva la primavera e Pecori dopo aver fatto le pulizie pasquali si ricorda che è bene di tanto in tanto dare una mazzata alla giunta amica. Non si sa mai. Qualcosa succede sempre. Infatti l'uomo dell'Udc il 25 maggio 2009 rende nota urbi et orbi la sua enciclica (“rerum tangentialis”) contro la bozza progettuale della nuova circonvallazione nord; enciclica poi trasformata poi in una più umile richiesta di dibattito in consiglio comunale: «Quanto abbiamo visto pubblicato sulla stampa con gli innumerevoli e lunghi raccordi, rappresenta un immane sperpero di territorio, tra l’altro a danno del solo Comune di Vicenza, a fronte invece di notevoli benefici per i Comuni contermini. Ciò grazie al fatto che Vicenza, contrariamente a quello che da decenni accade nei Comuni contermini, ha da sempre privilegiato l’integrità territoriale delle sue frazioni, concedendo col contagocce minime trasformazioni edilizie ai propri residenti». Passano poche settimane e durante il consiglio comunale del 2 luglio Pecori stavolta non solo se la prende solo con la giunta, ma pure con la municipalizzata di San Biagio: «Si stia dando la gestione della città in mano al consiglio d’amministrazione di Aim».

Intanto il 30 novembre c'è un nuovo consiglio comunale. Pecori, il quale sa che Variati è stato eletto anche coi voti dei Verdi e degli ambientalisti in genere si precipita a dire che è a favore di un inceneritore a Vicenza. Poi durante la notte tra il 10 e l'11 dicembre 2009 arriva in aula il sì al Pat ovvero al nuovo piano regolatore con relativi interessi milionari dietro. L'Udc, un tempo contraria si astiene. Pecori poi proferisce una frase sibillina: «Ora è il nostro Pat, quello che la città attendeva da anni, ma ad ogni modo non ci vedo risvolti politici immediati». Passano otto mesi dall'approvazione del “loro” Pat e Pecori passa in giunta. Poteri del Pat o poteri dietro al Pat? Intanto però rimane scolpita nel cemento una frase famosa di Pecori pubblicata su Il Corriere del Veneto: «Questo risultato non ce lo aspettavamo... Le scelte si fanno e se ne pagano le conseguenze. Se dovevamo scegliere per vincere saremmo andati con Variati, visto che in molti lo davano per vincente». Era il 29 aprile 2008 e Pecori, assieme a Cicero, a Lia Sartori e alla Lega aveva appena perso le elezioni. Pagare le conseguenze. E chi ha pagato in questo caso?

Marco Milioni
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lunedì 2 agosto 2010

La mafia a Vicenza

La Lega ha scritto che il Veneto è “pulito”, non ha presenze mafiose. Un paio di giorni dopo c'è stato l'arresto a Mogliano Veneto in provincia di Treviso di Vito Zappalà, uno dei latitanti mafiosi più ricercati, condannato a 29 anni di galera. Questo tipo di persone non si muovono mai da sole e sarà interessante accertare quali suoi compari alloggino nel Veneto. Però a Vicenza abbiamo un problema formalmente di natura diversa ma parimenti grave: le zone franche, una sorta di libertà di violazione delle leggi e delle regole, che i dirigenti pubblici, i politici e la magistratura accordano ai colletti bianchi, ai poteri forti.

Abbiamo avuto la cosiddetta circolare Rossetto; una circolare diramata dagli uffuci tecnici municipali durante gli anni '90 e tenuta in piedi sino al 2002. Un provvedimento in forza del quale un dirigente, arrogandosi poteri che sono solo del consiglio comunale, ritenne di dare agli uffici tecnici medesimi disposizioni che consentivano di rovesciare le disposizioni del piano regolatore in fatto di distanze fra edifici vecchi e in edificazione. Costruire più vicino significa allargare la base degli immobili e quindi aumentare la cubatura. Migliaia di metri cubi abusivi sono stati fabbricati in questo modo, impunemente. E quando la magistratura ha inquisito quel dirigente non ha istruito un giudizio a tempi brevi ma ha atteso, atteso ed i reati considerati si sono prescritti.

Entrando in via Vecchia Ferriera dopo Ponte Alto, alla sinistra è in via di completamento un grande edificio che ammonta più o meno ad un volume di 60.000 metri cubi. L'ufficio del pubblico ministero ha tenuto nel cassetto per cinque anni la perizia, da lui disposta, che rilevava varie illegittimità. Avrebbe potuto intervenire quando si era alle fondamenta, ma ha atteso ingiustificatamente. I potenti proprietari del fabbricato ed i loro progettisti possono dormire tranquilli; tutto finirà nel fumo della prescrizione, se non interverrà prima qualche altro pubblico ministero.

A fronte di questo immobile ce n'è un altro (è il cosiddetto palazzo, ha un volume di 70.000 metri cubi) che è stato completato da quattro o cinque anni. Tale immobile è finito al centro di un processo penale sei anni dopo che il consulente del pubblico ministero aveva consegnato la relazione: sei anni di attesa ingiustificata e di cammino verso la prescrizione. Erano imputati i proprietari, i progettisti, un dirigente comunale Lorella Bressanello (moglie dell'ex sindaco Enrico Huellweck) e un altro dirigente del comune di Vicenza, Roberto Pasini: tutti assolti.

I giudici hanno negato l'esistenza del vincolo paesaggistico riconosciuto dalla Regione, autorità competente in materia, sulla base di un documento preparatorio del piano regolatore del 1979, ma poi superata dal testo del piano effettivamente approvato, che ad esso non fa alcun riferimento. Dunque con questa trovata all'italiana è caduta l'accusa. Inoltre i giudici hanno negato l'intenzionalità del dirigente. Costoro non sapevano, non volevano, non intendevano... «Ah,intendo, il suo cervel, Dio lo riposi,/in tutt'altre faccende affaccendato/a questa roba è morto e sotterrato...». Il resto ce l'ha messo la Corte d'Appello di Venezia che, a fronte del ricorso del Procuratore della Repubblica di Vicenza contro la inaccettabile sentenza assolutoria, non ha ancora fissato, a distanza di ben due anni, la data del processo.

Anche a Vicenza ci sono le vendette trasversali. Tu fai un esposto contro gli abusi di certi tecnici comunali? Ebbene loro ti puniscono con il potere che hanno. C'é stato il caso di una associata al comitato vicentino contro gli abusi edilizi alla quale è stato contestato un abuso (inestente) risalente al 1930... Ad un altro, sempre di questo comitato, hanno cercato di rilevare un difformità edilizia (sempre inventata) di cinquant'anni fa. E se non possono colpirti direttamente lo fanno contro tuoi familiari come è successo ad altro membro del comitato contro l'abusivismo edilizio.

Il comitato contro l'abusivismo edilizio ha il merito di aver scovato numerose illegittimità penali, amministrative e contabili degli uffici comunali del capoluogo berico. Sebbene con la sua azione abbia permesso alla municipalità di incassare una cifra pari 500.000 euro più euro meno, i suoi membri vanno puniti. “Che imparino a farsi gli affaracci loro!” Già, perché il comune di Vicenza è affare dei soli dirigenti comunali? Non voglio ovviamente generalizzare: le mie riflessioni riguardano l'edilizia privata e dintorni.

Il comune di Vicenza non ha soldi; a me sembra che non vada a prenderseli dove ci sono ed ha diritto di averli. Non mi riferisco all'evasione fiscale, argomento certo interessante, bensì sempre all'edilizia. Per edificare una casa bisogna pagare gli oneri di urbanizzazione ed un contributo del costo di costruzione: per l'industria c'è solo quest'ultimo gravame. L'importo di queste voci è fermo da circa vent'anni nonostante in questo periodo l'inflazione sia cresciuta di circa il 30%. Un enorme regalo agli speculatori a spese dei cittadini di Vicenza. Ma c'è un altra perdita consistente. Nell'area di via Vecchia Ferriera vi sono numerosi edifici che, approfittando del fatto che l'area è industriale, sono stati edificati pagando al comune, cioè a tutti noi, solo una spettanza pari al 10% del costo di costruzione. Di contrasto le attività installate in loco sono quasi tutte commerciali, ma non hanno corrisposto all'ente locale gli oneri di urbanizzazione, in questo caso dovuti (mediamente il 30% dei costi di costruzione). Così il nostro comune, cioè noi, non ha incassato centinaia di migliaia di euro, che non intende incassare.

C'è poi la questione della cosiddetta torre Girardi, la quale sorge a qualche centinaia di metri prima del casello autostradale di Vicenza ovest. La provincia lo ha dichiarato interamente abusivo con un provvedimento confermato presso i tribunali amministrativi; però il comune non lo demolisce prendendo a pretesto due perizie di comodo, una disposta per di più dallo stesso comune. Di più, sempre in riferimento alla vicenda della torre Girardi il comune di Vicenza non provvede nemmeno ad incassare quanto comunque gli spetta. L'assessore all'edilizia privata Pierangelo Cangini ha affermato con grande clamore che, essendoci degli abusi (bontà sua), incasserà ben 900.000 euro. Ma, secondo le leggi urbanistiche, spetterebbero al comune un bel po' di soldi in più. Anzi una montagna di soldi in più. Sei o sette milioni di euro; cioè il valore venale dell'edificio. Anche qui l'amministrazione rinuncia ai diritti di coloro che rappresenta, cioè sempre noi.

Quanto riportato ora in modo un po' generico per ragioni di brevità, è comunque il frutto di una analisi scrupolosa, corroborata da una documentazione completa. Ad ogni modo da questo quadro pur sommario e parziale, risulta l'impotenza, scelta liberamente, della magistratura vicentina e del comune di fronte ai poteri forti ed ai colletti bianchi. Ciò costituisce una grave ingiustizia ed iniquità, una negazione del principio di legalità e di uguaglianza di trattamento, ma è anche fonte di minor erogazione di servizi ai cittadini di Vicenza dovuta alle minori entrate a causa di queste acquiescenze rispetto ai desiderata dei vari potentati che trovano domicilio dentro e fuori i palazzi delle istituzioni. Ovviamente sono i cittadini a farne le spese. In termini di accesso agli asili nido e ai centri estivi; in termini di accesso alla assistenza domiciliare, di aiuto agli sfrattati ed alle famiglie in difficoltà sulla casa; in termini di accesso agli interventi per i giovani e per lo sport. Per caso tutti questi scompensi sono dovuti alla mancata acquisizione di quei fondi?

Fulvio Rebesani
Vicenza, 30 luglio 2010
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venerdì 30 luglio 2010

Regione, sì ai maxidirigenti. Ma il mandato è dimezzato

Con voti differenziati da candidato a candidato, e con presidente Zaia e assessori inchiodati ai banchi a costo di non partecipare ad altri appuntamenti annunciati, il Consiglio regionale ieri mattina ha approvato la nomina dei direttori generali decisi dalla Giunta.

LE VOTAZIONI. Il neo-segretario generale della programmazione è Tiziano Baggio, il manager da sempre vicino a Zaia che lo vuole nel ruolo di direttore generale della Regione: ha avuto i 35 voti della maggioranza, con 4 contrari e 18 astenuti. Via libera anche all’altro “esterno”, il vicentino Domenico Mantoan che guiderà il settore servizi alla persona (sanità e sociale): per lui 33 sì, due in meno di Baggio, con 7 astenuti e 17 contrari. Più largo il voto per gli altri cinque, dirigenti interni: oltre 40 i sì per Mauro Trapani (bilancio-economia), Angelo Tabaro (cultura-turismo), Silvano Vernizzi (territorio-infrastrutture), Sergio Trevisanato (lavoro-istruzione-personale), Mariano Carraro (ambiente-lavori pubblici). All’unanimità è stato votato il segretario generale del Consiglio veneto Roberto Zanon. Più risicato il via libera al segretario del Consiglio per gli affari generali-giuridici Stefano Amadi (33 sì).

IL DIBATTITO. Il voto è stato caratterizzato da un lungo dibattito. L’opposizione ha contestato l’annuncio di risparmi, sostenendo che poi seguirà anche la nomina di un numero imprecisato di commissari straordinari per settori specifici per cui i costi complessivi della dirigenza regionale potrebbero risultare superiori a quelli attuali. In particolare il vicentino Raffaele Grazia (Udc) ha contestato a Zaia che si possa parlare di “direttore generale” perché la legge regionale prevede ben altro ruolo per il segretario della programmazione. Ha sottolineato che nella delibera di nomina di Mantoan si parla solo di “sanità” e non di sociale (arriverà un commissario?), e ha sostenuto che la sua indicazione nasce «da un patto scellerato tra una parte della Lega e una parte del Pdl (il riferimento è a Tosi e Sartori)» che «vuole continuare a gestire la sanità veneta con attenzione al business della costruzione di nuovi ospedali con i project financing più che ai servizi di cura dei malati». Anche il vicepresidente Franco Bonfante (Pd) ha chiamato in causa l’ombra di Flavio Tosi, sindaco di Verona, come ispiratore delle scelte per la sanità.

IL MANDATO RIDOTTO A METÀ. Da parte sua il vicepresidente Marino Zorzato ha confermato la linea dei risparmi e della riorganizzazione: «Non appena avremo il nuovo statuto rivedremo insieme la pianta organica e l'organizzazione della Regione perseguendo l'obiettivo di contrarre la fascia dei dirigenti. Per questo motivo oltre a ridurre gli stipendi dei massimi dirigenti regionali abbiamo proposto anche il nuovo limite a 30 mesi dei loro incarichi». L’altra sorpresa di ieri infatti è stata che, con un largo voto di 42 sì, è passato un emendamento della maggioranza che riduce il mandato dei segretari regionali di Giunta e Consiglio a metà: 30 mesi.

CANDIDATURE AGLI ENTI. Proposta dal vicentino Costantino Toniolo (Pdl), assieme a Lega e Pd, è passata ieri anche la deroga che dà ai consiglieri regionali un paio di mesi di tempo per proporre candidature per le nomine di rappresentanti della Regione nelle società partecipate e negli enti di interesse regionale. In ballo ci sono 26 nomine per società Rocca di Monselice, Veneto Nanotech, l’Arena di Verona, aziende speciali come Verona Innovazione, Vicenza Qualità, Treviso Tecnologia, PromoTreviso, Padova Promex e altre.

da Il Giornale di Vicenza del 29 luglio 2010; pagina 7

mercoledì 28 luglio 2010

Il Verso del Nord? Il raglio ovviamente

Perché si fa un gran parlare attorno al manifesto Verso Nord? Come mai quello che dovrebbe essere un semplice documento d'intenti nell'ottica di un rilancio dell'Italia settentrionale è diventato un caso politico, soprattutto nel Veneto? La cosa è molto semplice.

Il dominio dell'ex governatore azzurro Giancarlo Galan sulle terre che furono già della Serenissima è finito. Dopo le elezioni di primavera a un vecchio sistema di potere, che aveva i suoi referenti politici più accreditati in Galan e Lia Sartori (eurodeputato del Pdl) è venuto meno. La vittoria a mani basse del Carroccio, che pure è alleato del Pdl, ha messo in discussione vecchie rendite di posizione, a partire dalla sanità. Non che io abbia preferenze per una o per l'altra visto che sempre di voraci oligarchie si tratta, ma comunque la giostra questa è. Se a questo si aggiunge che il Pd quando va bene è un ectoplasma e quando va male allunga le mani sulla res publica al pari della destra, si capisce ancor meglio la natura di Verso Nord: una sorta di area politica virtuale pensata per spaventare un po' il Carroccio.

Come a dire “caro neogovernatore leghista Luca Zaia, se non sganci qualcosa io mi alleo col mio ex peggior nemico”. Che poi 'sto nemico possa essere temibile ho più di qualche dubbio visto che solo i gonzi democratici sperano di far saltare il banco con la scusa di Verso Nord, quando invece sanno bene che nel breve termine otterranno solo le briciole, se va bene. Del resto a che pro l'ex aspirante governatore veneto Massimo Cacciari (che in un faccia a faccia da Bruno Vespa sulla Rai aveva definito «falso e bugiardo» Galan) ora flirta con i fedelissimi del Galan ministro del Pdl? Del resto non si può rimanere sorpresi se uno come Variati abbia immediatamente sottoscritto il documento fondativo di Verso Nord, visto che a Vicenza non è il Pd che governa ma una lobby ogm in cui ci sono maggior enti e potentati da sempre vicini al Pdl ma con un sindaco democratico. Verso Nord non è una invenzione di Cacciari. Cacciari l'ha copiata al sindaco berico Achille Variati.

Se invece si guarda al medio e lungo periodo Verso Nord non ha altro che la funzione di grande calderone nel quale fondere, dopo averne cancellato alla meglio le origini, pezzi di centrodestra e centrosinistra, in modo da avere pronta una nuova forza politica che possa continuare a intrallazzare quando il gran capo Silvio Berlusconi sarà buttato giù dai lobbisti internazionali e dai suoi pari lobbisti nazionali che fino a ieri lo hanno spalleggiato, proprio per quella sindrome del servo infedele che in passato colpì dei tipini del calibro di Benito Mussolini e Saddam Hussein.

Ma in questo contesto come replica il Carroccio sul piano culturale? Davide Lovat, che nella Lega vicentina è la lucerna historiae, ovvero «queo studià», sul GdV del 26 luglio lascia una perla della sua abituale saggezza: «Verso Nord ovvero verso nulla... Il leghismo, forma italiana del pensiero comunitarista identitario europeo è una corrente di pensiero (pensiero!?, ndr) nuova che provoca le menti sconvolgendo gli schemi abituali... ». Il problema rispetto alla tesi di Lovat è duplice. Il primo è che Lovat, poverino, a quello che dice ci crede veramente. In secundis Lovat ha ragione quando afferma che il leghismo è la forma italiana del peniero comunitarista europeo. Sì proprio italiana, nel senso peggiore del termine, ovvero cafona, cialtrona e come dimostrano l'affaire Arzignano e lo scandalo Lombardia anche mafiosa. Lovat infatti non direbbe ciò che ha detto sul GdV del 26 luglio nella pagina delle lettere, se avesse letto il Corsera di sabato che affibbia al Vicentino la maglia nera tra le province del nord in termini di case non dichiarate al fisco. E chi se non il Carroccio ha dominato in questi ultimi lustri sulla provincia berica? Basti vedere poi come la Lega in parlamento è ligia nel finanziare le missioni di guerra italiane all'estero tanto care ai lobbisti atlantici fustigati da Lovat. La Lega purtroppo ha un valore di forza antagonista del pensiero unico alla stessa stregua delle forze di opposizione in “1984” di George Orwell: ricordate? Si trattava di opposizioni finte, create dal sistema, buone solo per dare a qualcuno l'illusione di opporsi al sistema medesimo e contemporaneamente buone per pizzicare i potenziali ribelli. Ma allora dopo il manifesto di Cacciari, dopo le reprimende leghiste, quale è il vero verso del Nord? Il raglio ovviamente... ma un raglio del Nord.

Marco Milioni
link originario: http://www.lasberla.net/index.php/2010/07/il-verso-del-nord-il-raglio/

venerdì 16 luglio 2010

Politica serva delle lobby



Le cronache giudiziarie stanno ridisegnando l’Italia come una piramide di comitati d’affari, con vetta a Roma ma poi estesa ovunque, in una specie di federalismo dell’arte di arrangiarsi. La cosiddetta P3 ne è l’ultima immagine, dove riemerge perfino Flavio Carboni, vecchio piduista che ebbe il suo momento ai tempi dell’assassinio del banchiere Roberto Calvi, trent’anni fa. Ma l’elenco è lungo: la cricca di Anemone e gli appalti del G8; gli impuniti della ricostruzione dell’Aquila; le speculazioni ospedaliere in Lombardia dove pure la spesa sanitaria rispetto al Pil è la metà di quella della Campania bassoliniana. Proseguire sarebbe stucchevole. Meglio chiedersi come mai ritorni la corruzione, ingigantita e non di rado bipartisan, mentre l’opinione pubblica sembra indignarsi sempre meno.

La corruzione è ancora legata alla spesa pubblica: alle commesse opache, al mercato del diritto, agli incentivi furbeschi, che ora esplodono nell’eolico, domani chissà, ai pagamenti a piè di lista, per cui si operano i pazienti anche quando non serve. Ma rispetto agli anni pre-Mani Pulite c’è un cambiamento. Allora, l’industria parastatale e la pubblica amministrazione erano piegate al finanziamento dei partiti e dei loro dirigenti, spesso associati all’industria privata. Oggi, sono i faccendieri e le lobby che, materialmente o culturalmente, comprano i governanti, asservendoli.

È l’inversione di una storia antica che ha nell’indebolirsi della politica la sua radice. Negli anni '90, i partiti della Seconda Repubblica si gettarono alle spalle tessere, correnti, congressi e con essi l’idea che la leadership fosse da riconquistare ogni giorno, collegio per collegio. Le privatizzazioni furono sentite come l’alba della meritocrazia, dopo la corruzione. Con il tempo si è visto un nuovo tramonto: Parmalat, Popolare di Lodi, Telecom, Fastweb, Unipol, Rai, i traffici sul gas russo, i veleni su Finmeccanica. Un altro elenco lungo e stucchevole. Del quale, tuttavia, non si può tacere il finale: il crac del capitalismo finanziario anglosassone, fonte di ispirazione del riformismo italiano, su entrambi i lati dello schieramento politico.

L’idea che la mera privatizzazione dell’economia potesse restituirci un’etica pubblica si è consumata nel falò delle vanità dei fondi che speculano senza costrutto e dei soliti noti che tosano le grandi imprese, nelle paghe smodate dei top manager, banchieri e non, mentre le disuguaglianze aumentano e l’ascensore sociale si ferma. Rimane la privatizzazione della politica. Che va oltre i conflitti d’interesse e contagia il sistema dei partiti dove i leader, o chi ha le chiavi della cassa, sono i padroni. Padroni blindati dalla legge elettorale che costringe i cittadini a votare i loro prescelti, sulla base di un’adesione ideologica in tempi senza ideologie. Come stupirsi se i prescelti, anonimi e miracolati a Roma quanto in provincia, subiscano la tentazione di mettersi al servizio di chi prometta la mancia?

P.S. Che cosa aspettano il sottosegretario Nicola Cosentino e il coordinatore del Pdl, Denis Verdini, a dare le dimissioni o Silvio Berlusconi a pretenderle? O il Pdl a farsi sentire?


Massimo Mucchetti
da Il Corriere della Sera del 14 luglio 2010; pagina prima

mercoledì 30 giugno 2010

Senza fine

In questi giorni nella casella di posta elettronica di molti ciechi sta giungendo un messaggio, contenente un appello alla sottoscrizione di una petizione, che vorrebbe ottenere dal presidente del Consiglio e dal ministro dei beni culturali un passo indietro circa il taglio dei finanziamenti pubblici all’ente Regina Margherita di Monza.

Infatti questo ente la funzione del quale è rendere accessibili ai minorati della vista libri e spartiti in formato digitale e non, in forza del decreto Legge che mette in atto l’ultima manovra finanziaria, rischia di subire un taglio di 2.650.000 euro su un totale di 4.000.000, che probabilmente porterà alla chiusura dello stesso. Questo perché se l’ente in oggetto già ora non riesce a soddisfare le richieste degli iscritti, figuriamoci poi come potrebbe operare con un taglio dei finanziamenti pubblici come quello sopra descritto.

Questa chiusura comporterebbe una quasi totale interruzione di questo genere di servizi, che provocherebbe un importantissimo deficit culturale. Infatti stiamo parlando della possibile chiusura dell’unico ente in Italia accreditato ed autorizzato e sistematicamente dedicato alla accessibilità della cultura ai ciechi ed ipovedenti, mediante la trasformazione di un testo o spartito, in formato digitale accessibile ai membri della Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (altri 50 euro di iscrizione).

Ricordando infatti che la quota di iscrizione alla libreria per ciechi Regina Margherita di Monza nell’ultimo anno è passata da 10 a 50 euro a causa di tagli già avvenuti, vorrei sottolineare l’inciviltà di un Paese che considera inutile un ente che, ad esempio, permette ai bambini e ragazzi deficitari della vista, di affrontare le scuole elementari e medie inferiori e superiori, utilizzando i libri che anche i loro compagni normalmente utilizzano.

Un ente che quindi mi sento di indicare come finalizzato alla realizzazione di uno dei principi fondamentali della nostra bellissima costituzione, ed in particolare del comma secondo dell’articolo terzo, che sancisce come sia «compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando difatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Domandiamoci ora: questa rinuncia avviene in nome di cosa poi? Di una crisi che a detta di chi oggi governa era già finita sul nascere? Bugie su bugie come le motivazioni che vengono oggi addotte per giustificare la reale necessità di un’altra programmazione pluriennale delle finanze pubbliche, mediante l’ennesimo decreto legge. Decreto che accompagnato dai tre “Documenti di programmazione economica e finanziaria” annuali rispettivamente per il 2011 2012 e 2013, di circa dodici miliardi di Euro l’uno, dovrebbe permetterci di avvicinarci a quei parametri che, sin dal trattato di Maastricht del 1992, la UE ci impone di rispettare. Parametri questi divenuti poi obbiettivi fissati con un analogo Decreto Legge già nel 2008 ma mai raggiunti, così come emerge dal bilancio consuntivo dello Stato del 2009.

Infatti all’indomani dell’insediamento dell’attuale esecutivo, i ministri dell’economia, dello sviluppo economico, della semplificazione (ed altri “insigni giuseconomisti”) ebbero a redigere il primo dei numerosissimi decreti legge emanati da questo Governo, che aveva le medesime finalità della manovra correttiva emanata la settimana scorsa per Decreto appunto . Stiamo parlando del D.L. 112 del 25 giugno 2008, poi convertito in legge il 9 agosto dello stesso anno, in soli nove minuti nonostante la prolissità e la complessità del suo contenuto . Questa norma giuridica recante il titolo “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”, recitava all’articolo uno: «Le disposizioni del presente decreto comprendono le misure necessarie e urgenti per attuare, a decorrere dalla seconda metà dell’esercizio finanziario in corso, un intervento organico diretto a conseguire, unitamente agli altri provvedimenti indicati nel Documento di programmazione economica e finanziaria per il 2009... un obiettivo di indebitamento netto delle amministrazioni pubbliche che risulti pari al 2,5 percento del PIL nel 2008 e, conseguentemente, al 2 per cento nel 2009, all’1 per cento nel 2010 e allo 0,1 per cento nel 2011 nonché a mantenere il rapporto tra debito pubblico e PIL entro valori non superiori al 103,9 per cento nel 2008, al 102,7 per cento nel 2009, al 100,4 per cento nel 2010 ed al 97,2 per cento nel 2011».

A questo punto però mi chiedo quanto segue. Queste solenni affermazioni espresse da un ministro dell’economia che si affermava consapevole della crisi che in quei mesi andava a delinearsi come la peggiore dopo quella del '29, in una norma giuridica avente forza di legge datata 2008, come dovremmo interpretarle oggi, che possiamo certificare un debito pubblico italiano nel 2009 consolidatosi all’incirca al 115% del PIL del medesimo anno? Io non lo so. So però che il 102% nel rapporto debito pubblico PIL, obbiettivo del 2009 oggi è divenuto l’obbiettivo del 2013. So anche che gli strumenti formali (decreto legge di programmazione pluriennale) e sostanziali (tagli a danno dello stato sociale inteso in senso amplio) per raggiungere gli obbiettivi sono rimasti i medesimi.

Così un fattore che mi appare piuttosto palese al di là del fatto che i conti siano saltati per motivi più o meno nobili (un aumento della evasione fiscale, piuttosto che un calo del pil derivante dalla crescente ed inarrestabile disoccupazione, o dal doveroso incremento della spesa pubblica per la cassa integrazione) ci permette di dire che il decreto fratello di quello sopra citato che in questi giorni ci è stato presentato come manovra finanziaria in risposta allo sconquasso monetario e finanziario riconducibile alla crisi greca, trova nella stessa una motivazione fasulla.

Si perché i giornalisti ed analisti che incalzano da gennaio il ministro dell’economia con la domanda circa la necessità o meno di una manovra correttiva a maggio giugno non trova di certo origine in una “crisi Greca” manifestatasi solo poco fa, bensì in un fallito traguardo di bilancio pubblico, fissato appunto dal D.L. 112 sopra citato al dicembre 2009. A questo punto allora io mi chiedo ex ante: quale è il perché di tale mancato raggiungimento degli obbiettivi fissati ex lege? In secundis: dove dovrei trovare le motivazioni che mi facciano accettare il fatto che, in forza del nuovo taglio che il Ministro dei beni culturali si accinge a operare, io da cieco non potrò più utilizzare i libri di testo con i miei discenti (se mai ne avrò ancora l’anno prossimo visto e considerato che potrei essere uno di quei precari che il solito decreto 112 del 2008 ha tagliato mediante una riduzione di spesa pubblica di otto migliardi di euro nella scuola)?

Signori qui c’è gente che la crisi l’ha già vissuta e sa che nei prossimi anni continuerà a viverla ad esempio attraverso il blocco di aumenti di uno stipendio che, se mai continuerà ad esserci , è già oggi agli ultimi posti delle classifiche europee. La ricetta che però questo governo continua a proporre per arginare il disastro in corso, impostata su sacrifici in capo sempre ai soliti lavoratori subordinati, non la posso accettare in silenzio. Non riesco infatti a tacere ne sull’evasione fiscale (cresciuta nell’ultimo anno da 100 a 120 miliardi di euro mentre dalla lotta alla stessa se ne sono recuperati solamente nove) ne sulla corruzione /concussione, che secondo la Corte dei Conti nell’ultimo anno ci è costata 60 miliardi di euro.

Questioni queste che sommate offrirebbero un bacino di miliardi di euro, dal quale pescare le risorse per limitare una crisi che, imprenditori evasori e corrotti e politici concussi hanno enormemente contribuito a provocare. Allora parlo e dico: diamine, mettetele le mani nelle tasche degli italiani; ma nelle tasche di coloro che prima della crisi di fatto o di diritto risultavano agiati economicamente e che ora lo sono divenuti, in termini relativi od assoluti, ancora di più. Riportiamo così ad esempio la tracciabilità dei pagamenti a somme intorno ai 100 euro, portiamo le imposte sulle rendite finanziarie ad una soglia in linea con le medie europee, aumentiamo la pressione fiscale su redditi abnormi e simili, ma finiamola di accanirci sempre contro i soliti noti.

Sto parlando dei lavoratori subordinati che, oramai da troppi decenni, sopportano gran parte “dell’onere” del riempimento delle casse dello stato, che dovrebbero consentire un’esistenza dignitosa a tutti i cittadini. Anzi ciò di cui stiamo parlando non è un diritto solamente del cittadino, bensì dell’uomo che non riesco a non riconoscere leso nella sua dignità appunto, nel momento in cui si considera inutile la possibilità di accesso alla lettura per i ciechi, sinora garantita per quanto più possibile dalla libreria per ciechi Regina Margherita di Monza. Anche per questo motivo invito tutti a sottoscrivere la petizione (http://www.ipetitions.com/petition/prova/) per salvare un ente per nulla inutile.

Riccardo Melchiorre
link originario: http://www.lasberla.net/index.php/2010/06/senza-fine/

lunedì 28 giugno 2010

Parco della Pace? No, foglia di fico

Non capisco cosa abbiano da festeggiare Variati, la Bottene e i pacifisti della domenica: hanno combattuto per anni, alcuni soltanto a parole, il Dal Molin a stelle e strisce, e ora si ritrovano con un parco ribattezzato della pace accanto ad una caserma con truppe di guerra (i parà della 173a brigata vanno a crepare in Afghanistan e Irak per “esportare la democrazia”). Il trucco sta nella parola “pace”: 650 mila metri quadri di verde a fare da foglia di fico alla sconfitta del no alla Ederle 2. E tutti ad applaudire. Questi o ci sono o ci fanno.

Achille Variati sindaco del Pd, partito contrario a Vicenza e favorevole a Roma, sicuramente è uno che ci fa. «Una grande vittoria della città che pone le fondamenta per la riconciliazione di Vicenza», ha proclamato con ostentato trionfalismo. Il perché lo ostenti è logico: a lui interessa archiviare per sempre la divisione fra i vicentini sulla base per togliersi di dosso una volta per tutte il marchio di capo-popolo delle pentole e beniamino degli “anti-americani” (che poi non è vero, ma la vulgata è questa). Un marchio che nel mercato politico-elettorale non solo non paga più – Achille deve la sua elezione anche ai voti del Presidio e company – ma che ormai i voti glieli farà perdere. I duri e puri del no sono destinati all’eclissamento per inutilità: qual è, infatti, il senso politico della battaglia contro una base che verrà costruita e che ha avuto pure il contentino di un giardino pubblico come premio di consolazione? Questo Variati l’ha capito già da quando, l’anno scorso, ha scaricato pubblicamente la Bottene e compagni. Oggi, col governo Berlusconi che dà il benestare al finanziamento della tangenziale nord (11,5 milioni di euro) e al famoso parco, lo sganciamento dal movimento ex oceanico dei No Base si compie definitivamente.

Achille deve virare al centro, ai voti moderati, se vuole ottenere la riconferma nel 2013 (sempre che non opti, dato l’alto tasso di imprevedibilità della politica italiana, per un seggio parlamentare). Di qui la corte fatta a Claudio Cicero. Ecco, su questo personaggio non vorremmo spendere molte parole. Ci costringe a farlo la realpolitik variatiana, che vorrebbe addirittura fare del campione dell’aeroporto a tutti i costi (lui che dovrebbe fare compagnia, benché per altri motivi, alle Bottene e agli Albera fra gli sconfitti eccellenti di tutta questa vicenda) il nuovo assessore della squadra di Palazzo Trissino. Ci ritroveremmo in giunta l’ex assessore di Huellweck in quota An che fu responsabile operativo in quella precedente dello sconclusionato e impossibile scambio base militare-scalo civile, un'illusione a cui solo un fanatico come lui, ossessionato dalle visioni di aerei sfreccianti e strade trafficate, poteva credere in perfetta buona fede. Lasciamo pure perdere le sue personali inclinazioni ideologiche (il suo totem è il Duce che inaugura le opere del regime), tanto ora mai di cose di questo tipo non frega più niente a nessuno. È che il pacchetto di voti che rappresenta la sua lista civica fa gola ad un centrosinistra che vedrà evaporare quelli alla sua estrema sinistra. È il mondo impersonato da Cicero che Variati vuole inglobare, gente tendenzialmente di centro o di destra e che ama il “fare” (per il fare). Anche perché il centrodestra ufficiale, sprofondato nelle rivalità e nelle lotte per qualche briciola di potere, è completamente in panne e, molto probabilmente, lo resterà a lungo. Con Cicero sarebbe più facile, per Achille, darsi un'immagine credibile di candidato trasversale, tutto fatti e niente preconcetti, capace di accogliere le istanze di chi non si riconosce del Pd e tanto meno nella “sinistra” (ma esiste ancora, a Vicenza e in Italia? Destra e sinistra sono veramente categorie morte e stramorte).

Chiusa la parentesi Cicero, torniamo alle anime belle che giocheranno nel parco. «Festeggeremo il 12 luglio con Marco Paolini all’interno del parco della pace, ci sembra il modo più giusto per continuare a dire il nostro no alla guerra», ha dichiarato tutta contenta Cinzia Bottene. «Sarà la più grande area verde della città dove famiglie, giovani e anziani, bambini e persone disabili, turisti e sportivi, italiani e stranieri, potranno incontrarsi in serenità ed armonia con la speranza che la storia dell'umanità riuscirà a far cadere altri muri: quelli di tutte le basi militari nel mondo», ha sostenuto idilliaco John Giuliari, assessore con delega sognante alla Pace. La Pace, questo mito che spegne il cervello e ammansisce le pecore. L'errore e l'inganno stanno tutti in questo idolo, il vitello d'oro a cui nessuno osa dire no. L’opposizione alla base americana non avrebbe dovuto confondersi fino a identificarsi col pacifismo tout court, perché il risultato è stato di farla passare come l’ennesima protesta di sinistra velleitaria e demagogica, anziché come rivolta in nome della sovranità nazionale e dell’autodeterminazione locale (nonché contro un modello di sviluppo dominato dall'arroganza padronale degli Stati Uniti). Difatti, adesso basta appiccicare l'etichetta della “pace” ad un parco e le ragioni di quella rivolta saranno dimenticate, e la rivolta stessa non sarà servita a niente. Perché mica ci vorranno far bere sul serio la fiaba per poppanti che un po' di verde farebbe cadere i «muri di tutte le basi militari del mondo», spero. La retorica auto-compiacente sa di beffa, e oltre che far ridere fa anche un po' incazzare.

A questo punto, noi che siamo sempre stati contro il Dal Molin americano, diciamo che è arrivato il “the end”. Mettiamocela via, perché noi vicentini, tutti quanti, compresi, anzi in particolare i contrari che si beano con gli alberelli e i “polmoni verdi”, l’americanizzazione di Vicenza ce la meritiamo. Buona passeggiata nel parco.

Alessio Mannino
link originario: http://www.lasberla.net/index.php/2010/06/parco-della-pace-no-foglia-di-fico/

Concia, i tentacoli della cricca veneta

Che cosa è successo durante gli ultimi giorni a Vicenza e provincia? Come vanno valutati gli ultimi sviluppi delle inchieste Dirty Leather e Reset? Come vanno valutate le ultime rivelazioni uscite sulla stampa locale? Si può parlare di un livello politico lambito dall'inchiesta della procura berica? I primi riscontri pubblicati dai media ovviamente dovranno affrontare un percorso giudiziario lungo. Ma una cosa è la verità secondo i dettami del codice penale, altra è invece la verità storica descritta anche dai comportamenti sociali.

IL RITORNELLO. Da settimane in un pezzo dell'opinione pubblica (anche per le continue prese di posizione di politici come Giorgio Gentilin sindaco di Arzignano in quota Pdl) si è diffusa la sensazione, ed è un vero ritornello, che gli imprenditori fossero finiti in una sorta di vortice perverso. Il quale li obbligava in qualche maniera a pagare mazzette, pena una serie di controlli approfonditi che avrebbero messo nei guai la ditta finita nel mirino degli agenti tributari. «Mi sentii ricattato» fa sapere infatti urbi et orbi il numero uno della concia arzignanese Bruno Mastrotto.

PARADIGMA MASTROTTO. La sua visione di fondo però è contestata in primis dagli inquirenti; è chiaro infatti che se uno teme come la morte di essere controllato dal fisco è assai probabile che non abbia le carte in regola. Almeno il buon senso dice questo. Ma quali sono i rapporti numerici in ballo? Un esempio eclatante è appunto quello di Bruno Mastrotto. Al posto di chiudere con lo stato una partita fiscale da sette milioni se la sarebbe cavata con una «supertangente di 200 mila euro... Una pacca sulla spalla che sarebbe stata accompagnata dal pagamento all’Erario di 700 mila euro a titolo di accertamento con adesione». Così spiega le cose Il Corveneto del 18 giugno. Una ricostruzione che compare similmente su una mezza dozzina di testate, nazionali e non, tra i silenzi dei big della politica berica (sinistra radicale esclusa) e quelli dei vertici dell'Assindustria locale.

IL J'ACCUSE DELLA PROCURA. Ivano Nelson Salvarani, suo l'ufficio di procuratore della repubblica di Vicenza, non è però rimasto in silenzio; anzi mette i puntini sulle “i” e rammenta a tutti che la gran parte dei bènefìci di una pratica scorretta erano e sono appannaggio degli imprenditori che non pagano le tasse. «Dovevano denunciare» gli agenti del fisco infedeli, ripete il procuratore. L'evasione infatti è il presupposto non solo di arricchimenti illeciti, ma pure di una concorrenza sleale nei confronti di quegli operatori che rispettano le regole.

Se si considera che i numeri della evasione stimata sono da urlo e che ad Arzignano di riffa o di raffa una impresa conciaria su due non è ossequiosa delle norme, si capisce che il tanto decantato comparto della concia deve parte del suo successo non solo ad una gestione allegra dei rapporti col fisco, ma anche a controlli che da lustri e lustri sortiscono effetti quasi nulli. Lo scenario è quello di un sistema corrotto da almeno venti o trent'anni. A parlare così, almeno per quanto riguarda la diffusione degli illeciti fiscali, non sono pochi visionari di turno, ma i vertici della GdF vicentina; i quali nell'ambito delle indagini si sono limitati a focalizzare l'attenzione verso i comportamenti che ancora possono essere perseguiti sul piano penale o fiscale, mentre hanno per forza lasciato per strada ogni addebito già divorato dalla prescrizione.

E LA POLITICA? «I fatti di questi giorni dimostrano che i legislatori, come gli amministratori locali, in tutti questi anni non hanno voluto o saputo mettere mano ad un malaffare del quale tutti, chi più chi meno, parlavano. Ricordo bene che da semplice militante la questione "concerie" divenne subito un tabù anche dalle parti del Carroccio. Forse perché è dalle parti dei padroni del vapore che sta il potere reale? I fatti di queste settimane mi fanno rispondere affermativamente a questa domanda...».

A porre la questione in questi termini è l'ex consigliere comunale vicentino (ed ex leghista) Franca Equizi in una lettera aperta resa nota il 22 giugno. Una lettera durissima, al momento senza repliche, nella quale la Equizi racconta la sua esperienza di militante del Carroccio della prima ora.

LA UIL NEL MIRINO. Equizi però non si ferma e se la prende con la Uil. Fa adombrare in qualche maniera il dubbio che Antonio Bertacco, responsabile veneto del settore concia e chimica, abbia tirato in ballo la questione occupazionale, per lanciare un messaggio cifrato agli investigatori. Come a dire che se si dovesse indagare troppo a fondo si rischia di mettere in crisi anche il livello occupazionale. L'ennesima dimostrazione, se verificata, che gran parte del comparto non potrebbe esistere se non fosse stata perseguita la logica degli illeciti di massa.

Non a caso la Equizi prende di mira la frase di Bertacco riportata dal Corriere Veneto il 19 giugno: «Quando su un distretto di 450 aziende medio-piccole e 120 industrie si hanno 77 società coinvolte nell’evasione, vuol dire che è un fenomeno macroeconomico. Potrebbero esserci risvolti occupazionali dopo l’estate». Si tratta per giunta di un passaggio che avrebbe fatto storcere la bocca a diversi investigatori, i quali, per le pochissime notizie che filtrano da palazzo Negri, si stanno muovendo su un terreno difficile, anche per la scarsa o nulla collaborazione di chi è a conoscenza di circostanze utili all'indagine.

FONTANELLA IN SILENZIO. Per di più in questi mesi di indagine che hanno straziato l'imprenditorìa della Valchiampo c'è un politico di primissimo piano che è rimasto in silenzio. Si tratta di Giuliana Fontanella (Pdl). Quest'ultima per anni è stata la referente di spicco del suo partito proprio per la Valchiampo. Per anni è stata la potentissima presidente della commissione attività produttive in seno al consiglio regionale veneto. La Fontanella è stata anche uno dei protagonisti delle ultime elezioni regionali dove non ha ottenuto la riconferma. Ma chi da lei si aspettava parole di chiarezza rispetto alle vicende della concia è rimasto deluso.

STEFANI E BONADEO. Rimane tutta da chiarire frattanto la questione delle presunte liason parlamentari tra Vittorio Bonadeo (un passato nella GdF e nelle Ftv, tra i fiscalisti più conoscuiti in città, attualmente ai domiciliari per l'inchiesta Reset-Dirty Leather) e il deputato leghista Stefano Stefani. In una intercettazione pubblicata da Il Corriere del Veneto il 7 giugno 2010, Bonadeo fa capire al suo interlocutore, si tratta di Mario Pietrangelo (indagato come Bonadeo), che lo stesso Bonadeo si sarebbe dato da fare affinché un gruppo di deputati, tutti leghisti o quasi, redigesse una interpellanza parlamentare con lo scopo, più o meno dichiarato, di mettersi di traverso rispetto al lavoro della procura di Vicenza in relazione alla vicenda del fallimento della MyAir e in relazione al fallimento della Conceria Dal Maso.

INCARICHI CHIAVE. Ma la domanda da un milione di dollari è un'altra. L'interpellanza è un fatto a sé stante oppure è la spia del fatto che gli incarichi chiave presso l'agenzia delle entrate di Vicenza come quella di Arzignano erano assegnati con l'obiettivo di accomodare i controlli? E si può ipotizzare lo stesso dei posti chiave presso la direzione regionale della agenzia delle entrate a Venezia? Quest'ultima infatti non ha solo in capo le pratiche per le aziende con grandi fatturati, ma ha una certa voce in capitolo proprio nella definizione degli organici e dei ruoli il grosso dei quali spetta alla sede centrale a Roma; ma soprattutto Venezia riveste preminenti funzioni in materia di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo delle succursali provinciali e locali.

LA CRICCA VENETA. I giornali che hanno raccontato l'ipotesi investigativa della magistratura, hanno soprannominato questo gruppo di funzionari presunti infedeli in forza alla agenzia delle entrate “la cricca veneta”. Ne farebbero parte Angelo Fiaccabrino, il dirigente Roberto Soraci, Antonio Letizia, Claudio De Monte e Filiberto Segantini. In quest'ottica Il Corriere del Veneto del 17 giugno riporta stralci dell'interrogatorio di Vittorio Malucci.

Malucci, responsabile della agenzia delle entrate di Arzignano dal 2000 al 2005 fornisce la sua verità in modo preciso: «Non so se Fiaccabrino e altri della direzione regionale prendessero soldi ma posso presupporre di sì. In ordine a Fiaccabrino ero certissimo che prendesse soldi... Tra Fiaccabrino e Segantini c'era un'amicizia storica... reputo che Fiaccabrino prendesse soldi perché quello era l'andazzo alla Direzione Regionale di Venezia in quegli anni... Dal 2000 i responsabili degli accertamenti alla direzione regionale erano Sanfilippo, Del Greco, e Lanzafame... Il trait d'union tra Arzignano e Venezia era Fiaccabrino che aveva la forza di parlare con l’Agenzia delle Entrate...».

IL NOCCIOLO DELLA QUESTIONE. Così la testimonianza resa da Malucci tra la fine di febbraio e i primissimi di marzo 2010 apre una finestra, anzi una vetrata, sul sistema. Per muovere funzionari di livello e dirigenti, pianificare tabelle di servizio occorre avere referenti di altissimo livello in seno alla agenzia delle entrate. È possibile che un gruppo di consulenti fiscali (l'altra parte della cricca) capeggiati da Bonadeo avesse, da solo, il potere di influire sulle decisioni che contano in seno all'agenzia delle entrate? In questo senso infatti la direzione generale a Roma ha aperto, con l'espresso consenso del direttore generale Attilio Béfera, una indagine ispettiva interna. Di più; se il racconto di Malucci dovesse trovare riscontri, sarà la prova certa per affermare che incarichi e organigrammi siano stati taroccati su input politico e su richiesta ultima di qualche big della imprenditoria berica? E che significa poi che Fiaccabrino «aveva la forza di parlare con l’Agenzia delle Entrate», si suppone del Veneto? Significa che aveva agganci di alto livello, anche politico?

RAPPORTI MINISTERIALI. Ora gli equilibri in seno alla agenzia delle entrate non sono modificabili dal primo che passa. L'agenzia è un ente autonomo posto sotto la vigilanza e l'indirizzo politico del dicastero dell'economia capitanato dal ministro Giulio Tremonti (Pdl). Se, sul piano teorico, si vuole avere una copertura per muovere il tal direttore, piuttosto che il tal funzionario, magari per sistemarli in posti chiave da dove condurre accordi poco leciti, bisogna avere rapporti di primissimo livello presso il ministero competente. Il che significa, sempre a livello teorico, ministro, sottosegretari, capo di gabinetto, direttori di dipartimento e via dicendo. Le rivelazioni di Malucci possono portare così lontano?

IL TEAM. Ovviamente solo gli inquirenti hanno in questo momento gli elementi per dare una risposta. Il procuratore berico Ivano Nelson Salvarani, il pubblico ministero Marco Peraro (cotitolare dell'inchiesta), il comandante della guardia di finanza provinciale di Vicenza Antonio Morelli, il capo della tributaria provinciale e suo braccio destro Paolo Borrelli, il comandante della finanza di Arzignano, il tenente Angelo Aloi e i loro detective: nelle loro teste, nei loro atti e nei loro computer c'è il bandolo della matassa di una delle maggiori inchieste per evasione fiscale mai iniziata nel Veneto. Da capogiro i numeri: 1,4 miliardi la base dell'imponibile; oltre un centinaio di milioni di euro gli importi evasi. C'è però un quesito di fondo che gira tra i cronisti vicentini di giudiziaria. Ci vorrà molto prima che qualche giornale pubblichi l'elenco completo degli imprenditori finiti sotto indagine penale o fiscale? Ci sono cronisti vicentini che già sono in possesso di questo elenco che scotta? Perché sino ad oggi non è saltato fuori?

Marco Milioni
da Vicenzapiù del 26 giugno 2010; pagina 4